Il tempo d'uno sguardo o una vita intera: poco importa per quanto accade l'amore si palesi, tra gioie e tormenti, perché, in essenza, all'amore non s'associa una durata. Così che si può dire che ineluttabilmente finiscono solo quegli amori che, in verità, non sono mai cominciati.
26 giugno 2013
17 giugno 2013
16 giugno 2013
A frusto a frusto (66)
Interpretar silenzi, più di interpretare parole, rischia di mettere a nudo crude mancanze di fantasia.
Indirizzi di metodo, per giovani che non ne necessitano (7)
Gli hic et nunc, i tanti 'adesso' e i tanti 'qui', meritano certo il viaggio d'una vita, agra e dolce che sia. Essi non possono bastare però a chi nutre un desiderio curioso d'umana consapevolezza. Serve l'ardire d'andare indietro, vivendo l'avventura della storia. Si badi bene, come ogni esperienza, essa non spiega alcunché. Chiede al contrario di essere spiegata e, ampliando con metodo il vissuto di chi vi si inoltra onesto, mette alla prova e sovente alla frusta ogni facile idea il suo angusto 'qui e ora' abbia potuto suggerirgli come prematura conclusione.
13 giugno 2013
Linguistica da strapazzo (17): "...JE est un autre"
Il tema è trito. I cinque lettori di Apollonio, benevoli, gli perdoneranno se, con facile luogo comune espressivo, evocherà qui in esordio gli impetuosi fiumi d'inchiostro che hanno trascinato per ogni dove quelle quattro parole di un adolescente di genio. O del genio di un adolescente? Non come egli o il suo genio le scrissero, però; piuttosto come "...je est un autre". Donde un fortunato e ormai irrimediabile malinteso.
Nello sterminato impero dello spirito e nella vasta metropoli delle scienze morali, non c'è infatti contrada, oggi, in cui non si trovi segno del passaggio del surrogato. Con "...je est un autre", ci si sono costruiti grattacieli e demolite piramidi, puntellati edifici pericolanti e erose secolari fondamenta, asfaltate autostrade e fatti saltare ponti, disinnescate bombe e approntati detonatori, crepate dighe e rafforzati argini.
Quattro parole e una proposizione: in apparenza, il pronome di prima persona a far da soggetto, la terza persona singolare del presente indicativo della copula e, come predicato nominale, il nome fatto a partire da un aggettivo indefinito, preceduto da un articolo indeterminativo. Una proposizione irragionevole, a prenderla così; scandalosa. Eppure, si deve essere ritenuto, ragionevolissima. Pronta a prospettare, a riassumere un intero, prolungato, estenuato spirito del tempo che, non trovando immagine migliore, ha preso a guardarsi (talvolta con disgusto, più spesso con compiacimento) in questo prisma, molato, in apparenza, da un colpo di lingua sbardellato e magistrale.
Il linguista da strapazzo sorride. Di filologia francese moderna s'intende tanto quanto di cricket: da lui non possono venire di conseguenza che ovvietà e sciocchezze. Bazzicando dalle parti di Zellig Harris, ha imparato però che la metalingua, tutt'intera, sta nella lingua e che le cose che paiono grammaticalmente bizzarre capita lo sembrino solo perché son forme ridotte, trasformazioni di discorsi più lunghi che, intelligenti pauca (così pare atteggiarsi, generosa, la lingua con gli esseri umani), non val la pena di mettere in piazza. Per decenza. Per rispetto. Per magnanima concessione di fiducia. Quella che il genio dell'adolescente (o il converso) accordò, ma senza saperlo, ai posteri: atto imprudente e fortunato. I posteri l'hanno infatti preso alla lettera.
Invece, in quella copula alla terza persona e nella dipendenza che la vuole accordata col soggetto si apre il varco, neppure troppo nascosto, per penetrare dentro quel JE. Malgrado le apparenze, esso non è je, l'omografo pronome di prima persona. È invece quanto resta d'una elementare trasformazione, per riduzione della ridondanza metalinguistica: '[Ciò che io chiamo (o tu chiami, si chiama)] IO è un altro".
Espressione che fa riflettere, allora, ma non per la sua devianza, solo presunta. Piuttosto per la piana, vera, inesorabile regolarità del suo accordo e per la perentorietà con cui la sua stessa enunciazione ribadisce la servile ma incoercibile istituzione linguistica di un io.
7 giugno 2013
Cronache dal demo di Colono (14): Genere
Sciocchezze, ovunque nel mondo, se ne son sempre sentite e se ne sentono d'ogni genere, come l'occasione sassone consente oggi di dire. Rientra però tra le permanenti specificità storico-culturali il fatto che, destinandola a un ancora più rapido fallimento, una sciocchezza sia appunto velleitariamente proposta come radicale e indifferenziata soluzione finale.
6 giugno 2013
Linguistica da strapazzo (16): Improbo
Saranno passati mille e cinquecento anni (c'è chi dice un po' di più, chi un po' di meno) dal momento in cui, componendo una lista di più di duecento coppie, fortunosamente pervenutaci perché copiata qualche secolo dopo, un oscuro maestro di scuola annotava pignolo "speculum non speclum", "pecten non pectinis", "calida non calda", "viridis non virdis", "socrus non socra". Provava così a mettere un freno alla scomposta espressione di quegli asini dei suoi scolari. Almeno nello scritto, perché, quanto all'orale, a quel momento, difficilmente si può credere che il maestro non si fosse ormai rassegnato a lasciar dire e a dire, lui medesimo, "speclum", "pectinis", "calda", "virdis", "socra". Anzi, a udire e proferire cose anche più nefande, senza più nemmeno rendersene conto. Così fanno ritenere le palesi mostruosità venutene fuori e che, ancora oggi, ci fanno compagnia: verde, specchio, pettine e altre sconcezze romanze comparabili.
5 giugno 2013
Indirizzi di metodo, per giovani che non ne necessitano (5)
Nuovo non è il viandante né il sentiero: nuova (e fuggevole) è la piccola orma che, prima del passaggio di quel viandante per quel sentiero, non c'era.
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