"Quando cammino | su queste | dannate nuvole | vedo le cose che sfuggono | dalla mia mente | niente dura niente dura | e questo lo sai | però | non ti ci abitui mai": il testo di Dannate nuvole dà così una persona (grammaticale) al suo protagonista. Anzi, gliene dà due, prima e seconda, con la seconda a fare da simpatetico abito indossato dalla prima (della procedura espressiva si è già detto, in questo diario, e non a proposito di canzonette).
La terza, la non-persona, che fa da cuscinetto testuale tra prima e seconda, è peraltro riempita da "niente". Il processo, come un moto oscillatorio, è iterato (moduli della cultura, non solo ovviamente della popolare, ma della popolare per elezione): "Quando mi viene di dire la verità | sono confuso | non sono sicuro | quando mi viene in mente | che non esiste niente | solo del fumo | niente di vero | niente è vero niente è vero | e forse lo sai | però | tu continuerai | ... niente dura niente dura | e questo lo sai | però | tu non t'arrenderai".
La prima persona, infilandosi in tale "niente" e attraversandolo, ne esce abbigliata da seconda. L'esperienza del ("niente" del) mondo è del resto trasformativa - per taluni (per tutti?) alienante: "niente" somiglia a "tutto" molto più di "qualcosa" ed è facile l'equivoco. Così, venire fuori da una simile esperienza continuando a darsi dell'io, dell'eleganza, non è il massimo, dell'intelligenza, è forse il minimo.
Lecito - forse addirittura ammirevole - è concedersi al piccolo e scoperto imbroglio di darsi del tu e di fare di quel tu, visto che è un patente pupazzo dell'enunciato, un piccolo positivo eroe dalle qualità romantiche e concessive. Fossero impersonate da un volgare io e declamate in prima persona, queste sarebbero intollerabili.
Due sospese parolette interrogative sono però il marchio che sigilla la canzone, la sua iterata sphraghís dal ritmo giambico: "chissà perché". Del resto, il suo autore, Vasco Rossi, o il personaggio della narrazione della vita pubblica italiana degli ultimi trenta anni che va sotto tale nome, pare avere per attitudine più domande che risposte. Andando avanti con un'età che ha la coquetterie di non nascondere e di non nascondersi, anzi, sempre più domande. Ha gioco facile in ciò. Avere più domande che risposte è infatti condizione umana ordinaria (e ordinariamente negletta e inconsapevole). Di risposte, ce n'è, e certa, solo una, che dà peraltro su mille domande senza risposta. Ma ci vuole fegato, oggi, a metterla in musica con una canzonetta.
Due sospese parolette interrogative sono però il marchio che sigilla la canzone, la sua iterata sphraghís dal ritmo giambico: "chissà perché". Del resto, il suo autore, Vasco Rossi, o il personaggio della narrazione della vita pubblica italiana degli ultimi trenta anni che va sotto tale nome, pare avere per attitudine più domande che risposte. Andando avanti con un'età che ha la coquetterie di non nascondere e di non nascondersi, anzi, sempre più domande. Ha gioco facile in ciò. Avere più domande che risposte è infatti condizione umana ordinaria (e ordinariamente negletta e inconsapevole). Di risposte, ce n'è, e certa, solo una, che dà peraltro su mille domande senza risposta. Ma ci vuole fegato, oggi, a metterla in musica con una canzonetta.
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