Dopo il fortunato tema morale "come una lingua non deve essere", ecco fare capolino, nel mercato dei consumi culturali, un altro tema che prende a pretesto l'espressione umana ed è dotato di un modale: "come una lingua non può essere".
Un tema molto prevedibile. Esso è infatti la sbardellata estensione di un'idea ormai vecchia, tra quelle che hanno circolato in linguistica nel secolo scorso. Secondo tale idea, la Grammatica (si badi bene, al singolare e con iniziale maiuscola, come Dio) ha da dire non tanto come una frase può essere, quanto come una frase non può essere ed è perciò da definire agrammaticale.
Non c'è chi non sappia, tra coloro che praticano la sfortunata disciplina e ne conoscono un po' le vicende, quali danni abbia prodotto alla ricerca linguistica un'idea siffatta, isterilendola e rendendola dogmatica.
Venuta ormai in uggia agli specialisti e propalata già abbastanza tra quei profani particolari e pericolosi che sono gli specialisti di altre discipline, l'idea dell'impossibile, gonfia come una rana che si atteggia a bue, è ora offerta al gran pubblico dei profani autentici. E c'è da chiedersi come mai finora non si fosse pensato di farlo. Il consumo di un modale (volere, potere, dovere) è graditissimo infatti al palato grossolano di chi ai libri che legge chiede soprattutto occasioni per indignarsi o per stupirsi. E cosa c'è di più stupefacente e spettacolare di un'evocazione dell'impossibile?
Quasi assente dal mercato, invece e come sempre, è un tema modesto: "come una lingua è". Si tratta di un soggetto, d'altra parte, che domanda cautela, competenza, riflessione, per essere affrontato. E sono le disposizioni di spirito che mancano a chi è allora forse solo costretto a trovare qualcosa di più semplice e, al tempo stesso, di molto appariscente da fare, visto che, per mettersi con pazienza e serietà a descrivere accuratamente anche solo una lingua tra quelle che ci sono state e ci sono, non saprebbe proprio da dove cominciare.
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