"«La sua scrittura ha il nidore abbagliante di una collana di diamanti»" recita una recensione comparsa di recente nell'edizione on line di Nuovi Argomenti, celebre rivista culturale fondata e diretta a suo tempo da Moravia e Carocci e che conta adesso una direttrice e cinque direttori - tolta la direttrice, lo stesso numero di membri del Direttorio che, sul tempestoso spirare del diciottesimo secolo, traghettò la Francia da Robespierre a Napoleone.
Apollonio legge e resta di stucco: nidore? Il contesto lo aiuta, però, come l'aiuta il luogo comune espressivo: nitore, non nidore. Di una scrittura, è d'uso si lodi il nitore, la qualità d'essere nitida. Del resto a ciò fa riferimento il séguito, con il suo paragone, a dire il vero, corrivo anzi che no.
Certo, nitore non è una parola comune. Ancora meno comune è nidore, però, che con nitore forma quella che in linguistica si chiama una coppia minima, cioè una coppia di parole di una lingua (in questo caso, l'italiano) la cui differenza consiste di un solo segmento distintivo.
A fare differenti nidore e nitore provvedono le corde vocali, che al momento in cui si articola la consonante dentale, vibrano nel primo caso, non vibrano nel secondo. Un'inezia, insomma. A tale inezia, però, e alla quasi identità formale tra le due parole, corrisponde un'autentica catastrofe, dal correlato punto di vista del significato.
Se nitore, senza vibrazione delle corde vocali, designa appunto la qualità di ciò che è nitido, nidore, con vibrazione delle corde vocali, è un "Odore piacevole [...] o più spesso sgradevole", come scrive il Vocabolario Treccani. Si passa non solo dalla vista all'olfatto, ma anche da una qualificazione positiva a una media che scivola facilmente verso il negativo: "Odore che per lo più si sprigiona dalla carne arrostita, dal grasso bruciato, da cibi guasti, da uova fradice. - In senso generico: puzza, odore sgradevole", chiosa il Battaglia.
Con tanta carne al fuoco, c'è insomma puzza di bruciato. Ed è impossibile trattenersi dal pensare, con un sorriso, che non si tratti di una banale coquille ma di un autentico lapsus.
Un lapsus di chi, però? Il passo compare infatti nella recensione come citazione dal libro recensito. È chi recensisce che cita male? O chi recensisce cita bene, ma non ha percepito che dalla citazione sale un qualche nidore? Insomma, nidore, di chi è? O, posta diversamente, nidore, per chi non olet?
Domande futili, come si vede, e che ci si pone proprio a tempo perso. Tali sono di solito quelle che formula Apollonio: i suoi due lettori lo sanno bene. Domande futili e prive di risposte.
Una cosa però si può dire con sufficiente certezza. Se alla celebre rivista non manca chi dirige, le fa invece crudamente difetto un correttore di bozze. Con la sua opera modesta, avrebbe evitato che chi legge sospetti che "ci sia del marcio in Danimarca". Naturalmente, a naso:
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