6 marzo 2021

Sommessi commenti sul Moderno (29): Dell'esperimento

Or sono quattro secoli,
l’esperimento inaugurò una nuova fase della storia, che non si sbaglierebbe a definire evo sperimentale. L'esperimento fu rito non solo teoretico, ma anche etico e come tale esso è stato ideologizzato. L'ideologia dell'esperimento ha caratterizzato l’evo tanto nelle sue grandezze, quanto nelle sue miserie, e ne ha determinato lo sviluppo
In questo sviluppo, come comprese precisamente Primo Levi, ci fu Auschwitz. Il toponimo Auschwitz è qui adoperato (com’è ormai uso) in chiave tanto metonimica, quanto antonomastica. Da un lato, il luogo per ciò che vi accadde e, per sineddoche, ciò che vi accadde come parte di un tutto. Dall’altro, ciò che vi accadde come evenienza esemplare. Esemplare fu anche Hiroshima, in correlazione temporalmente stretta, oltre che sistematica con Auschwitz. Hiroshima è un altro toponimo, nell'uso appena descritto, che combina antonomasia e metonimia.
Auschwitz e Hiroshima furono traguardi per l’evo sperimentale, proprio in quanto furono esperimenti. Non importa chiedersi se tali mete furono toccate programmaticamente, perché era proprio lì che l'ideologia dell'esperimento intendeva arrivare, o perché occorsero come accidenti dell'evo sperimentale: pertinente è infatti che tali mete siano state attinte. Se lo sono state, vuole infatti dire non tanto che, banalmente, esse fossero mete potenziali, quanto che fossero latenti, pronte a farsi patenti, come sono divenute, quando ce n'è stata occasione. 
Una volta toccati quei traguardi, caso mai prima ci fossero stati dubbi, divenne lecito escludere sul fondamento di lampante evidenza che, con la modernità, l’umanità o, meglio, quella parte di essa che se n'è arrogata la guida, avesse cominciato a procedere verso una maggiore ragionevolezza.
Fu invece chiaro che, sotto pretesa di razionalità, l'evo mirava diritto verso forme di non ragionevolezza estreme e parossistiche, con riflessi reiterati se non permanenti di intolleranza, di violenza e di prevaricazione, oltre che di manifesta stupidità. 
Non è escluso, al proposito, l'ambito socio-culturale della scienza, pertinente tanto nell'esperimento di Auschwitz, quanto in quello di Hiroshima. Anche, se non soprattutto, nell'affermazione di presunte buone pratiche e di migliori principi, divenne ancora più chiaro che tabe insopprimibile dell'evo moderno e sperimentale è non potere volere (il) bene, senza fare (il) male.
Ragionevole sarebbe stato, fin dal principio, non prendere l'esperimento come rito dal valore assoluto, da mettere all'opera a qualsiasi costo. Ragionevole sarebbe stato relativizzare anche l'esperimento, come si disse di avere fatto o di dovere fare per ogni altro precedente rito. Ragionevole sarebbe stato farvi convergere ogni sguardo critico atto a determinarne le eventuali pertinenze. E ciò non solo e non tanto da una prospettiva etica, come adesso sentimentalmente capita di sentire affermare, ma anche e soprattutto da una prospettiva teoretica. Non c'è conoscenza che discenda da una sola fonte né che dipenda assolutamente da uno specifico metodo, perché metodo è anzitutto una ragionevole messa in discussione dell'unicità della via.
In tal senso, è palesemente stupido mettere in atto esperimenti in àmbiti morali, come la tempra e, si vorrebbe dire, la natura umana. Per i loro caratteri, essi si prestano male ai modelli di esperimento concepiti senza ragionevolezza. Da un lato, in proposito se non si sa già tutto, si sa abbastanza. Dall'altro, di quanto si sa non si è ancora fatto abbastanza tesoro (né è ragionevole che ciò mai accadrà) e la ricerca di nuovi presunti dati (ma "dati"?) serve a coprire, in chi li cerca, l’inettitudine a lavorare con quelli di cui si dispone, se non cose ben peggiori.

3 commenti:

  1. Chi sa poi se sia resistibile la caduta nell'ideologia, che forse è un effetto pressoché insopprimibile della fatica che la ragione impone, con gravose rinunzie ad ogni passo, come quella che Lei segnala qui pregevolmente: mai accomodarsi in un metodo, pure faticosamente acquisito, e darsene vanto come di irretrattabile e definitiva potenza, la conoscenza non ammette unicità di percorso. Così, intorno alla verità non si riposa mai e non è facile non crollare in una cupa sonnolenza.

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  2. Chi sa poi se sia resistibile la caduta nell'ideologia, che forse è un effetto pressoché insopprimibile della fatica che la ragione impone, con gravose rinunzie ad ogni passo, come quella che Lei segnala qui pregevolmente: mai accomodarsi in un metodo, pure faticosamente acquisito, e darsene vanto come di irretrattabile e definitiva potenza, la conoscenza non ammette unicità di percorso. Così, intorno alla verità non si riposa mai e non è facile non crollare in una cupa sonnolenza.

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  3. Apollonio Discolo8/3/21 11:18

    Grazie del conforto, fedele Lettore. Apollonio non è certo il primo né, in questo momento, il solo a cogliere aspetti ideologici in pratiche che, pretendendo di esserne esenti, ne sono proprio per tale ragione crucialmente caratterizzate. Vorrebbe fosse chiaro, tuttavia, che a differenza di altri vede in ciò un difetto di ragionevolezza e una delle forme più subdole e pericolose dell'oscurantismo. Se i nemici della ragione o, forse meglio, della "Vernunft" fossero solo del genere dei cosiddetti terrapiattisti, la sua battaglia sarebbe facile. Non è così. E col pretesto di terrapiattisti e simili a farne strame sono i suoi falsi amici.

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