"Lo tengo sempre al guinzaglio", proferisce una persona durante una conversazione salottiera. Apollonio è come al solito perso dietro le sue fantasie e fa quasi per chiederle: "Chi?". Si trattiene, ma non dalla speculazione nel suo foro interiore.
Per celia o sul serio, una domanda siffatta, riflette, allungherebbe sul significato letterale l'ombra del figurato. D'improvviso, il guinzaglio smetterebbe di essere un guinzaglio e diventerebbe qualcosa cui guinzaglio può fare da metafora.
A scatenare il corto circuito e il passaggio dal proprio al metaforico, nell'interazione comunicativa, sarebbe il pronome interrogativo chi. Con esso, di norma si chiede di esseri umani. E se un essere umano tenuto letteralmente al guinzaglio è certo immaginabile ma resta una singolare bizzarria, di esseri umani tenuti a metaforici guinzagli ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno sempre a iosa. Ovvio che il tropo prevalga.
Niente di tutto questo succederebbe invece con "Lo tengo sempre per mano". La domanda "Chi?" sarebbe difficilmente presa per un'uscita scherzosa o provocatoria. E, letterale o figurata che fosse la mano, tutto resterebbe perfettamente coerente con quanto il pronome interrogativo chi impone di dire a chi lo proferisce. Per mano è roba umana, al guinzaglio no è la conclusione: lapalissiana.
Nel dettaglio, pare tuttavia ad Apollonio ci sia un briciolo di una nota osservazione di Roman Jakobson. Se ne scriveva qui un anno fa e non vi si ritorna, se non per coglierne un aspetto che si fa spassoso, considerata una deriva in atto nella società, non solo in quella italiana, beninteso.
A uno spropositato numero di persone è infatti venuto l'uzzolo di accompagnarsi con un cane, talvolta con più d'uno. Nei loro usi linguistici quotidiani, tali persone, con il cane o con i cani, si dicono per tropo imparentate. Non ci sarà lettore di questo frustolo che non possa testimoniare in proposito: di un cane, ci sono frotte di "papà", di "mamme", di "fratelli(ni)" e "sorell(in)e". Nella lista, non è presente la relazione filiale, ma solo de dicto e non de re. Come si sa, "di un cane", "figli" e "figlie" ce ne sono in abbondanza e nemmeno al guinzaglio, nella cruda realtà.
La quantità dei cinofili e delle cinofile è così grande da consentire a un osservatore spassionato di affermare, senza timore d'esagerazione o di smentita, che si tratta di un andazzo. E non ci vogliono sottili ermeneuti per intendere cosa esso riveli e a cosa esso si correli. Basta del resto andare in giro per paesi e città per rendersi conto che la libido procurata dal tenere qualcosa al guinzaglio oggi prevale di gran lunga su quella di tenere qualcuno per mano.
Ma ecco appunto: qualcosa vs. qualcuno. Tenere qualcosa per mano si direbbe solo per estremo spregio di un essere umano. Tenere qualcuno al guinzaglio non si dice ancora e chissà quando si dirà, se mai si dirà, di un cane. Imponendo le sue differenze, la lingua è rigorosa.
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