"I ricci hanno periodi gestazionali che vanno da 35 a 58 giorni, a seconda della specie, e in genere hanno da 3 a 6 bambini, chiamati maialini. Questa mamma riccio cammina abbastanza lentamente per assicurarsi che i suoi 7 maialini siano in grado di stare al passo con lei": queste parole accompagnano un breve video, diffuso in una rete sociale.
Non si tratta certamente di sede nella quale si chiede alla lingua d'essere accurata, ma proprio per questa ragione e per la sua cruda spontaneità quel testo ha scosso il torpido Apollonio.
Esso testimonia infatti come, nell'italiano di tutti i giorni, bambino ("L'essere umano nell'età compresa tra la nascita e la fanciullezza", scrivono ancora attardati dizionari) si avvii a diventare un iperonimo. Come tale, atto a valere per i piccoli, se non di tutte, di numerose specie, sussumendone le diverse designazioni: maialino ne sarebbe appunto un iponimo. Altri sarebbero puledro, per esempio, agnello o vitello. Forse, è ancora da escludere pulcino, per l'ostacolo concettuale del diverso modo di sviluppo dell'embrione.
Si tratta di indizio della sempre più estesa affermazione del post-umano o forse dell'ultra-umano, nella ideologia della modernità putrefatta? Difficile dirlo.
Mentre la corrente trascina furiosamente gli esseri che si esprimono e vivono nelle culture (che non vuol dire soltanto essere capaci di contare o di fare quanto dispone alla sopravvivenza e, eventualmente, all'ammaestramento) e li confonde appunto con i suoi vortici culturali, vale solo la pena di osservare che smettere di (essere capaci di) distinguere raramente è segnale di un innalzamento del sapere.
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