23 dicembre 2022

"La stranezza" e un'afasia

Sin dall'epoca di Luigi Capuana e poi di Nino Martoglio e, come interpreti, di Angelo Musco e, in tempi più recenti, di Turi Ferro, la varietà siciliana teatrale e poi cinematografica di riferimento è quella della città alle falde dell'Etna; in eventuale difetto o per approssimazione, una delle sudorientali.
È d'impianto orientale anche il siciliano parodico che spesseggia da decenni nella produzione televisiva: esemplare, in proposito, la saga montalbanesca (la televisiva, si ribadisce a scanso di equivoci). Vi si odono accenti caricaturali sfacciatamente iblei: se ne beava il compianto Marcello Perracchio, nei modi e nelle vesti del dottor Pasquano. Non ne era esente il Catarella di Angelo Russo.
Non c'è siciliano che non percepisca le manifestazioni di questa egemonia linguistico-culturale e che, dandosi il caso, non ne soffra, come spettatore, quando, come tutte le egemonie, essa produce approssimazioni e prevaricazioni. 
Un girgentano, cervellotico e indolente, non parla come un messinese, 'buddaci', né un palermitano, cupo, torbido, represso, come un catanese, chiassoso e ingravidabalconi. Invece, nella inconsapevolezza quasi universale dei "continentali", molte violenze alla verisimiglianza sono state e sono ancora perpetrate sugli schermi, grandi e piccoli, dove pare che in Sicilia ci si esprima solo in un modo o, diatopicamente e antropologicamente, a casaccio.
Orbene, due personaggi minori del film "La stranezza" di Roberto Andò sono caratterizzati da disturbi linguistici. Uno, giovane e scattante, ha un eloquio farfugliato e oscuro: per luogo comune farsesco, è una sorta di Mercurio e funge in un paio di occasioni da criptico e ambiguo messaggero. L'altro, di età avanzata e in carrozzina, è completamente privo della parola, nella finzione narrativa, forse per via di un pregresso incidente cerebrale che ne ha ridotto anche la capacità di movimento. È l'anziano titolare dell'impresa di pompe funebri cui prestano la loro opera Nofrio Principato (Picone) e Bastiano Vella (Ficarra). Sposata la figlia del padrone, Bastiano vive infelice sotto un incombente dominio del suocero anche la sua vita privata.
Il personaggio in questione si chiama Calogero Interrante. Calogero è nome di battesimo tipico del Girgentano: senza essere il patrono del capoluogo, San Calogero, nero di pelle, vi è oggetto per tradizione di una devozione particolare. Il cognome non è di fantasia, anche se l'onomastica qui ammicca ovviamente alla farsa. Il cognome pare parlante, ma fa all'uopo un'innocente violenza al suo etimo, che con il verbo interrare ha poco da spartire. Il patrimonio italiano è straordinariamente ricco e non mancano gli Interrante. In Sicilia occidentale.
A interpretare questo Calogero Interrante è Tuccio Musumeci, il quasi novantenne e bravo attore catanese. Ma non si ha modo di ascoltarne la consueta e rotonda inflessione da devoto di Sant'Agata. La sceneggiatura gli assegna solo mugugni e grugniti. Un caso? No, si direbbe: una sottile e consapevole scelta di regia. E per Andò, palermitano, forse anche un gustoso piacere personale: mettere sì sulla scena un catanese, ma infine e almeno per una volta muto.

1 commento:

  1. Tutto vero. Anche se la meglio parola è quella che non si dice, diceva mia nonna. Non so se conoscesse Pirandello

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