31 dicembre 2012
Nomen, non me (11)
NOTTE DI SAN SILVESTRO
STRASVELTI TEDI, SONNO
[L'invenzione di un anagramma è giustappunto una scoperta]
30 dicembre 2012
Liquidi del diluvio
Modernità, società, pensiero, vicende collettive e vite individuali: tutto è uniformemente liquido, oggi, secondo la fortunata immagine scaturita dalla fantasia di Zygmunt Bauman e da qualche anno divenuta di gran moda, tra la gente di mondo.
Devono esser divenuti liquidi anche molti cervelli. Per quanto Apollonio ne sappia, non circola altrettanto infatti la necessaria, correlata e più che evidente conclusione. E non si pretende nemmeno che tale circolazione sia critica. Basterebbe fosse anche solo piattamente e pacificamente descrittiva.
A giro d'orizzonte, c'è solo liquido? È allora chiaro che, già da un pezzo, deve essere in corso una delle periodiche repliche del diluvio universale.
Non si sa se, anche questa volta, le acque limacciose si ritireranno e se la relativa fanghiglia si prosciugherà. Al momento, anche nella speranzosa e indispensabile ipotesi di una salvezza di forme dell'umana intelligenza, il solo rifugio è la piccola arca dove, in attesa di tempi migliori, si trova raccolto, almeno per modestissimi esemplari e in modo precariamente sistematico, quanto si è potuto della bella e ricca varietà dei metodi e delle idee, nei loro stati differenti: solidi, liquidi, gassosi secondo pertinenza e opportunità.
Fuori dell'arca, l'andazzo si compiace invece grandemente dell'alluvione. I più furbi e spregiudicati vi sguazzano: suppongono ovviamente di essere anche capaci di cavalcarne l'onda. Si fidano di quella loro naturale inaffondabilità sulla quale la decenza non permette qui si insista.
Come campione ed esemplare dell'attitudine, ecco farsi avanti una grande multinazionale. Essa opera appunto nel settore dei liquidi e, data la contingenza favorevole, vuole lucrarvi globalmente più di quanto già non faccia. Col suo principale prodotto (se non torbido, certo oscuro), si propone così di fornire al diluvio corrente e futuro prossimo una quantità crescente di materia prima:
A frusto a frusto (36)
A oggi, pare che il mondo finisca quasi due volte al secondo, per qualcuno, ma che con frequenza maggiore, per qualcuno, esso cominci.
29 dicembre 2012
27 dicembre 2012
Cronache dal demo di Colono (7): L'Ascensione di Natale
"...descendit ad inferos, tertia die resurrexit a mortuis, ascendit ad cælos, sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis, inde venturus est iudicare vivos et mortuos".
Unicuique suum, a ciascuno il suo, avrebbe forse commentato Leonardo Sciascia, sulla base di altissime autorità morali. E nel suo è ovviamente incluso anche l'immaginario ideologico e culturale che chiarisce, fondamentalmente, il natalizio "Saliamo". Appropriato a inserire una nota di scanzonato controcanto è allora Woody Allen (citato qui secondo memoria dall'edizione italiana del suo delizioso Manhattan): "Tu ti credi Dio!" "Beh, a qualche modello dovrò pure ispirarmi...".
Si tratta di "agenda", etimologicamente, di cose da fare. La coerenza programmatica dell'odierno "Saliamo" è in tal senso verificata dal ricordo del "Rimontiamo" di un anno fa (sul quale un ormai vecchio frustolo). L'isotopia narrativa ascensionale era addirittura percepibile dal principio, si apprende. E il pensiero va grato al fine scopritore dell'anagramma, conoscitore (a quanto pare) di arcane vie della parola vera.
Anche fuor d'anagramma, d'altra parte, nomen, omen. Di (Sue) altezze si tratta: palesemente. Così e anche in funzione di un posizionamento contrastivo, che fosse questione di 'ascendere' è sempre stato indubbio. E si intende come si possa pretendere, sempre in "agenda", che, ove Egli non 'ascendesse' dopo aver già quasi redento "i nostri peccati", si finirebbe (per opposizione concettuale soggiacente) nel mare tempestoso d'uno tsunami. Abbandonate le altezze, in tale pelago 'si affonderebbe' o 'si andrebbe alla deriva'. Di 'restare a galla', come comunità, non si par capaci e, quanto a 'remare', non c'è mai qualcuno che non lo faccia 'contro', nella male assortita accolta nazionale.
Qualcuno ha già detto (pare ad Apollonio di avere sentito dalla lontana Citera) che "rimette tutto nelle Sue mani".
Certo, procurando per voto l'eventuale perfezionamento dell'ascensione, c'è da mettere in conto che ci si consegnerà a un'ascesi, cioè all'esercizio di molti fioretti e sacrifici. Insomma, ci si voterà (è puro accidente polisemico) all'ascesi di un'ascensione (è puro accidente formale).
Buon Dio, per accidenti, è più veridica la Cabala delle laiche scienze dell'economia, della politica e degli etimi? Da avere i brividi o, in alternativa, da morir dal ridere.
Apollonio ha già detto di sospettarlo. La lingua, impietosa, parla chi la parla e non c'è forse nulla di più divertente, magari stuzzicandola un po', del sentirla impietosamente parlare chi la parla, soprattutto in pubblico. Come egli fa qui (e lo sa bene) temerariamente o come altri fa, con ponderatezza e serietà, su Twitter e altrove.
Si tratta di "agenda", etimologicamente, di cose da fare. La coerenza programmatica dell'odierno "Saliamo" è in tal senso verificata dal ricordo del "Rimontiamo" di un anno fa (sul quale un ormai vecchio frustolo). L'isotopia narrativa ascensionale era addirittura percepibile dal principio, si apprende. E il pensiero va grato al fine scopritore dell'anagramma, conoscitore (a quanto pare) di arcane vie della parola vera.
Anche fuor d'anagramma, d'altra parte, nomen, omen. Di (Sue) altezze si tratta: palesemente. Così e anche in funzione di un posizionamento contrastivo, che fosse questione di 'ascendere' è sempre stato indubbio. E si intende come si possa pretendere, sempre in "agenda", che, ove Egli non 'ascendesse' dopo aver già quasi redento "i nostri peccati", si finirebbe (per opposizione concettuale soggiacente) nel mare tempestoso d'uno tsunami. Abbandonate le altezze, in tale pelago 'si affonderebbe' o 'si andrebbe alla deriva'. Di 'restare a galla', come comunità, non si par capaci e, quanto a 'remare', non c'è mai qualcuno che non lo faccia 'contro', nella male assortita accolta nazionale.
Qualcuno ha già detto (pare ad Apollonio di avere sentito dalla lontana Citera) che "rimette tutto nelle Sue mani".
Certo, procurando per voto l'eventuale perfezionamento dell'ascensione, c'è da mettere in conto che ci si consegnerà a un'ascesi, cioè all'esercizio di molti fioretti e sacrifici. Insomma, ci si voterà (è puro accidente polisemico) all'ascesi di un'ascensione (è puro accidente formale).
Buon Dio, per accidenti, è più veridica la Cabala delle laiche scienze dell'economia, della politica e degli etimi? Da avere i brividi o, in alternativa, da morir dal ridere.
Apollonio ha già detto di sospettarlo. La lingua, impietosa, parla chi la parla e non c'è forse nulla di più divertente, magari stuzzicandola un po', del sentirla impietosamente parlare chi la parla, soprattutto in pubblico. Come egli fa qui (e lo sa bene) temerariamente o come altri fa, con ponderatezza e serietà, su Twitter e altrove.
26 dicembre 2012
Note per una fenomenologia del punto esclamativo
Il punto esclamativo ha un'aria da manganello espressivo. Poco da stupirsi, di conseguenza, se esso si sia associato, come emblema, a momenti non troppo fausti dell'espressione pubblica italiana, nell'ultimo secolo, marcati appunto da un uso indegno del manganello. Nell'epoca in questione, del punto esclamativo si fece abuso.
Come segno d'interpunzione, esso non è del resto mai stato troppo fine: sempre in riferimento alla medesima epoca, non c'è bisogno di ricordare Gadda e il suo Eros e Priapo per intendere come l'area evocativa del punto esclamativo comprendesse anche altro, allora. Di nuovo, con pretesto di un largo impiego, c'è da dire; ma con lecito sospetto, stavolta, di millanteria. Nel campo semantico, evocazioni frequenti, più che come affermazioni positive di valore, si prestano infatti a essere perlomeno interpretate come manifestazioni di insicurezza.
Forse esemplare in proposito il famigerato "Vincere! E vinceremo!", proferito (c'è da scommetterci) sotto l'influenza della speranza (se non della convinzione) che dall'evocazione all'atto non si sarebbe mai passati; che alla prova non si sarebbe mai arrivati; che, insomma, i semplici punti esclamativi sarebbero stati sufficienti a ingravidare la storia. Si vide poi, tragicamente, che la speranza era stata vana, la convinzione rovinosa e che, a esibire punti esclamativi, si corre il grave rischio che qualcuno voglia poi verificarne tenuta e fondatezza.
Oggi, grazie al Cielo, il clima è molto mutato. E, sotto tutti i rispetti, non c'è che da rallegrarsene. Ciò non significa però che il punto esclamativo non continui a vivere i suoi fasti: rilevante indizio del fatto che in esso si cela forse un tratto dell'incoercibile volgarità umana. Tale tratto coglie poi le occasioni più diverse, per venire alla luce, al di là degli accidenti storici.
Il punto esclamativo ha infatti occupato spazi nuovi. Anzitutto, molti contesti espressivi privati, oltre ai pubblici soliti (in politica) o rinnovati (nella comunicazione pubblicitaria). Di conseguenza, esso gode forse nella scrittura d'oggi del massimo corso nella sua storia secolare. Per usura sociale del punto fermo, lo si lo adopera sovente e in modo reiterato per marcare una sorta di definitiva perentorietà di quanto si esprime per iscritto.
Si è giunti al punto che persino la chiusura di una banalissima lettera elettronica vede ricorrere l'un tempo improbabilissimo (anche perché sentito come oltraggioso) "Saluti!".
L'aria del tempo induce a escludere che, come certo è accaduto un dì, chi usa con larghezza il punto esclamativo abbia un Priapo nell'orizzonte di riferimento della propria identità. Si tratti di donne o di uomini e prescindendo quindi dal genere, sembra piuttosto che tale orizzonte contenga una Petronilla.
Per coloro che felici ragioni d'età rendono in proposito ignari si dirà che si tratta della protagonista, col marito Arcibaldo, di una vecchia striscia americana, onomasticamente adattata all'Italia e a lungo presente sul Corriere dei Piccoli. La memoria infantile inganna forse Apollonio. Gli pare però di ricordare che proprio a Petronilla (e al suo autoritarismo volto al meglio, vano e volgare) il caustico e preveggente autore della striscia avesse assegnato l'attributo caratterizzante di un matterello.
Come dire, ancora una volta, di un punto esclamativo. Valuti chi legge, sotto questa nuova fattispecie, quanto ignobile, quanto ridicolo.
Farse in due battute (3)
"E guardi su quello scaffale: Per te, il mio amore. Proprio ciò che cerca. Anche la confezione non è niente male. No?"
"Sì. Ma mi faccia dare un'occhiata alle date di scadenza: Da vendere entro il...? Da consumare entro il...?".
25 dicembre 2012
Bigotti
"Se avessi avuto paura di sputtanarmi, avrei fatto il bancario": lo dice la grande foto di un attor comico d'oggi, quello che, come strumento principale della sua arte di far ridere, tiene stabile l'aria stralunata del mezzo matto e del disadattato, forse anche per opposizione a un nome e cognome che più comuni non si potrebbe.
Qualche giorno fa, col suo motto, la foto si è parata davanti ad Apollonio, a spasso per la più grande libreria d'Italia che (come le sue minori repliche di cui, in catena, l'Italia è costellata) tiene alle pareti immagini gigantesche di personaggi proposti come beati o eroi della cultura lì in vendita al popolo che vi conviene e lo fa, evidentemente, per edificarsi.
Per via di tali immagini, quei luoghi di un commercio laico e venale prendono infatti un'aria da basilica o somigliano, se si preferisce, alle grandi sale in cui un dì si celebravano i congressi dei partiti unici delle ormai perente e cosiddette democrazie popolari (i pochi lettori di Apollonio ne avranno memoria).
Ed è così che la disarmante corrività del motto riferito in esordio trova la sua ragion d'essere. O l'ha trovata nell'animo di Apollonio, sempre orientato a ipotizzare sistemi che con le loro relazioni danno valore a cose ed espressioni e sempre pronto a riconoscere al mondo, come esso appare, la sua fondamentale onestà comunicativa.
Per trasmettere i valori d'una cultura bigotta, certamente meno probo, più inquietante e ingannevole sarebbe stato l'attribuire a quella figura del finto santo matto l'innegabile verità del contrario di ciò che gli si fa affermare. Oggi, chi non ha paura di sputtanarsi fa il bancario infatti e il rischio è che, a far gli attori comici, siano rimasti solo i baciapile.
22 dicembre 2012
Farse in due battute (2)
"Mi piace molto questo istante... "
"E guardi... è double-face: può indossarlo come adesso o, se preferisce, come mai più".
Farse in due battute (1)
"Ascolti... mi consiglia un rimorso o un rimpianto?"
"Ma s'immagini... Qui, non Le si chiede di scegliere. Per la stessa spesa, sarà servito di ambedue".
[Alla riverita memoria di Achille Campanile]
21 dicembre 2012
19 dicembre 2012
Numeri (1): Cultori del bon mot
Come questo frustolo medesimo contribuisce a illustrare, il bon mot ha oggi un numero di cultori che tende pericolosamente a coincidere con quello degli sciocchi.
[Alla riverita memoria di Ennio Flaiano]
18 dicembre 2012
Bolle d'alea (17): Picabia
"Le bonheur pour moi, c'est de ne commander à personne et de ne pas être commandé".
È già l'ottava volta che Apollonio si appresta a vedere, al Cielo piacendo, la fine dell'anno in compagnia dei suoi cinque lettori. È la settima che egli prova a regalar loro, nell'occasione, un pensiero beneaugurante. Questa volta è l'augurio che chi legge questo blog goda certo della sopra definita felicità ma soprattutto che, non solo nell'anno che viene ma in ogni momento della sua vita futura, ne faccia propria la definizione.
Qui essa è assegnata a Francis Picabia solo in virtù del ricordo (fallace?) della nota di accompagnamento d'una esposizione. A Picabia non si attaglia male, del resto. Non fosse sua, resterebbe in ogni caso degnamente attribuita.
Qui essa è assegnata a Francis Picabia solo in virtù del ricordo (fallace?) della nota di accompagnamento d'una esposizione. A Picabia non si attaglia male, del resto. Non fosse sua, resterebbe in ogni caso degnamente attribuita.
11 dicembre 2012
10 dicembre 2012
Trucioli di critica linguistica (8): Ancora Volkswagen
Inaugurato criticamente da Tacito, il millenario rapporto tra l'Urbe, come sineddoche dell'Italia, e la Germania s'arricchisce oggi d'un nuovo brandello. Si tratta della recentissima campagna pubblicitaria della solita grande casa automobilistica tedesca, destinata, c'è da credere, solo al mercato italiano:
Per capire cosa dice la nuova campagna italiana della Volkswagen, è utile cogliere, quasi fosse la chiave che apre la porta di un sistema di relazioni espressive e comunicative, la fugacissima combinazione tra l'immagine e la formula "protezione sottoscocca", come ricorre in questo annuncio.
La pubblicità, come si sa, vende illusioni. Al momento, pare però che agli Italiani, illusioni, non se ne possano proprio più vendere. Sono, e consapevoli, in brache di tela. E visto che, con gli "esigenti" Tedeschi, è in arrivo l'atteso e canonico calcio, una "protezione sottoscocca" è indispensabile.
Un sarcastico "W il calcio", col celebre simbolo della casa automobilistica al posto della semplice vu doppia, è del resto l'espressione riassuntiva sotto la quale viaggia l'intera campagna. E, come segnala ad Apollonio un sodale, essa compare iscritta, a conclusione dell'annuncio, in una stilizzata area di rigore.
Malgrado la "protezione sottoscocca", è del resto chiaro che si tratta di una presa per i fondelli per niente metaforica, anzi letterale. E, correlativamente, di un'Urbe e d'una nazione che, ridicolmente (e masochisticamente?) patite del calcio, sono ridotte alle pezze al culo e alle marchette: "...questo è marketing...". Con arrogante sprezzo del pericolo, ecco ciò che sembra vogliano dire tanto il committente quanto l'agenzia.
Hanno evidentemente molta e ben riposta fiducia nella capacità italiana di mettere sempre sul ridere le proprie disgrazie (anche un po' carognescamente, se è necessario) e sulla grande risorsa nazionale del "ma guarda che s'ha da fa' pe' campa'". Il rischio, insomma, è stato certo sociologicamente ben calcolato, dal punto di vista della resa commerciale:
Un sarcastico "W il calcio", col celebre simbolo della casa automobilistica al posto della semplice vu doppia, è del resto l'espressione riassuntiva sotto la quale viaggia l'intera campagna. E, come segnala ad Apollonio un sodale, essa compare iscritta, a conclusione dell'annuncio, in una stilizzata area di rigore.
Malgrado la "protezione sottoscocca", è del resto chiaro che si tratta di una presa per i fondelli per niente metaforica, anzi letterale. E, correlativamente, di un'Urbe e d'una nazione che, ridicolmente (e masochisticamente?) patite del calcio, sono ridotte alle pezze al culo e alle marchette: "...questo è marketing...". Con arrogante sprezzo del pericolo, ecco ciò che sembra vogliano dire tanto il committente quanto l'agenzia.
Hanno evidentemente molta e ben riposta fiducia nella capacità italiana di mettere sempre sul ridere le proprie disgrazie (anche un po' carognescamente, se è necessario) e sulla grande risorsa nazionale del "ma guarda che s'ha da fa' pe' campa'". Il rischio, insomma, è stato certo sociologicamente ben calcolato, dal punto di vista della resa commerciale:
Sbaglierebbe chi credesse, tuttavia, che suoni così e con tali crude note il fischio finale dell'eterna partita.
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