Con la lingua, Alessandro Manzoni aveva un rapporto viscerale e agonistico ma soprattutto consapevole. C'è bisogno di dirlo? Non era, in altre parole, un cretino di talento, come sono stati e sono scrittori anche molto rinomati. Ed era, nella prassi, ancor più che nella teoria, un fine grammatico, oltre che (e non paia un paradosso) un acuto linguista speculativo. Cultore di una linguistica diversa da quella che praticò il bravo glottologo Graziadio Isaia Ascoli.
Ascoli infatti non capì Manzoni: gli mancavano i mezzi e sarebbe difficile immaginare due uomini dalle formazioni più diverse e contrastanti. Meglio, a Manzoni appena morto, di Manzoni linguista, con qualche schiamazzo, Ascoli fece mostra di capire ed enfatizzò ciò che, a suo parere, era sbagliato e, certamente, era discutibile.
L'enfatico additamento dell'errore altrui, invece della piana esposizione di ciò che positivamente si ha da dire, lasciando all'intelligenza del lettore il ponderato giudizio, è del resto malvezzo avvocatesco da cui lo stile di argomentazione della glottologia non si è più liberato.
Erano faccende politiche, del resto: cascami di pensieri, raccolti da epigoni che il Risorgimento, con il suo esito, aveva messo nelle condizioni parossistiche tipicamente produttrici di sconsideratezze. Temperie - tutti e tutte le si conosce, visto che si ripresentano periodicamente - in cui qualcosa, qualsiasi cosa bisogna si dica e si faccia, pena il sentirsi fuori del flusso vitale (ingannevolmente, vitale) che corre per il mondo. Esattamente le situazioni, invece, in cui non bisognerebbe far nulla, lasciando che il mondo vada appunto al diavolo da sé, consapevoli con un sorriso della probabilità di trovarsi ineluttabilmente ad accompagnarlo.
Dalla frattura ideale tra Manzoni, il linguista fine e speculativamente pratico, e Ascoli, il rude e bravo glottologo delle inezie e dalle frustrate ambizioni di finezza, frattura decretata da Ascoli, come s'è detto, l'attenzione alla lingua e gli studi linguistici d'espressione italiana non si ripresero mai più. Lo spirito di Manzoni avrebbe certo avuto bisogno di Ascoli. Ma molto, molto di più Ascoli avrebbe avuto bisogno dello spirito di Manzoni, se l'avesse capito.
Ora che, in proposito, una tradizione nazionale qualsivoglia pare si stia definitivamente disperdendo (se non s'è già completamente dispersa) nell'indeterminatezza di idee cervellotiche tanto locali, quanto globali, Apollonio pensa sia il caso di dirlo, come ipotesi di testimonianza, a chi, giovane e sfaccendato o sfaccendata, vuole conservare la curiosa memoria di glorie (poche) e fallimenti (tanti) della linguistica di espressione italiana.
"Con la lingua, Alessandro Manzoni aveva un rapporto viscerale e agonistico ma soprattutto consapevole. C'è bisogno di dirlo? Non era, in altre parole, un cretino di talento, come sono stati e sono scrittori anche molto rinomati. Ed era, nella prassi, ancor più che nella teoria, un fine grammatico, oltre che (e non paia un paradosso) un acuto linguista speculativo."
RispondiEliminaCaro Apollonio, non ho molto da dire se non esprimere la mia gioia per questo incipit. Cominciai a leggere I Promessi Sposi a 14 anni, prima cioè che un'idiota di nome profe.ssa Ferro, al GInnasio, tentasse di farmelo detestare, sopirando sul "nostro Manzoni" che, con molta minore intelligenza dell'Ascoli, non capiva né gustava per niente e che aveva il raro dono di non saper leggere ad alta voce. I professori di solito non ne hanno, stante che si provano del corpo da piccini e per lo più credono di avere un'anima da coltivare. Spero sia d'accordo. Ho 64 anni, ho letto 13 volte quello che considero quel pilastro della letteratura mondiale, così mi pare. Poi vengono la Colonna infame e i versi. Nient'altro. Sì il mondo potrebbe andare al diavolo da solo; stia sicuro, stiamo sicuri: lo sta facendo. Seguiremo, ma sapendo che Manzoni non era un cretino di talento. Caramente suo. D'Ascola.
Apollonio Le è grato del consueto conforto. Lui, capita si arrabbi persino con Alessandro Manzoni e che senta giuste le parole di quel trombone di Ascoli (gran lavoratore, tuttavia, e uomo benemerito, per la scienza nazionale). Come capita (e ciò, va detto, sovente, troppo sovente, forse più del dovuto) che sorrida del mondo che, come un fiume inarrestabile, va al diavolo da sé, trascinando, quasi senza fare differenze, entusiasti, renitenti e sorridenti.
RispondiEliminaApprezzo assai questa replica, quasi o forse alla pari con la grecissima immagine di mare di un altro blog in cui si specchia un'altra sua immagine. Grazie. D'Ascola
RispondiEliminaSa che è Sicilia? E la più inopinata e, al tempo stesso, banale. Dal borgo di Mondello, in certe chiare giornate di inverno (che non mancano in quei luoghi), è questo che si vede gettando uno sguardo sulla baia, su Monte Pellegrino, e su capo Zafferano (che, sullo sfondo, vede chiudere il golfo di Palermo). L'alter ego di Apollonio fu fortunato, quel dì, a cogliere l'insieme senza apparente presenza umana (se non mediata e implicita, beninteso) e quindi in una sorta di sospensione temporale.
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