Errori, sciatterie, imprecisioni sono le sorgenti cui attinge il faber, per dirla con Bergson, quando manifesta linguisticamente una disposizione che, considerata la natura dell'essere cui viene attribuita, non ci si può stupire sgorghi (anche. O soprattutto?) da lì.
Più di ogni altro àmbito di ricerca delle discipline morali, il mutamento linguistico ne offre prove: sorgivamente, non di rado errori, sciatterie, imprecisioni. E non dovrebbe esserci studioso del campo minimamente riflessivo esente dalla constatazione e dalla correlata consapevolezza che quanto di sistematico e di regolare è determinabile in tale mutamento, lo è solo perché cade fuori del modesto controllo che gli individui della specie, variamente associati, hanno della loro facoltà espressiva.
Per dirlo con una formula veloce, incessante è lo spassoso e generale riparo che la lingua reca ai danni modesti e inconsapevoli che le procura incessantemente l'umanità.
Malgrado gli esseri umani e soprattutto, tra loro, i dotati di dottrina pensino il contrario, la lingua li padroneggia infatti più di quanto essi padroneggino una lingua o più d'una. E se, in molti aspetti, le lingue in cui si esercitano sono proiezioni di un mirabile sistema, ciò accade non perché, tanto meno affinché, ma sebbene tale sistema si sia variamente incistato nell'umanità.
In fin dei conti nessuno sa né come né come mai.
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