Qualcuno crede poi che le cose vadano come vuole solo perché vuole come vanno e ignora che, il dì che smetterà di volerlo (come certo capiterà), quelle, voglia o non voglia, andranno egualmente come andranno.
28 ottobre 2013
A frusto a frusto (77)
Qualcuno crede poi che le cose vadano come vuole solo perché vuole come vanno e ignora che, il dì che smetterà di volerlo (come certo capiterà), quelle, voglia o non voglia, andranno egualmente come andranno.
15 ottobre 2013
Linguistica candida (7): il farmaco Ascoli e il morbo del "novo"
I cinque lettori di Apollonio (che sono poi, forse, i suoi soli fedeli sodali) lo sanno: Graziadio Isaia Ascoli non gli è simpatico. O forse non gliene è simpatica la scuola. E magari no: gli è simpatico e gliene è simpatica persino la scuola. Insomma, con l'archegeta della linguistica moderna in Italia Apollonio ha un rapporto controverso. E ammesso il grande e terribile goriziano avesse voluto degnarlo di un invito a cena (si fa per dire: non sarebbe mai successo), egli non sarebbe andato d'animo lieve.
Ascoltata dall'ultima fila la conferenza, di sua iniziativa, Apollonio non si sarebbe proposto nemmeno per un personale saluto. Avrebbe velocemente svicolato, scansando il codazzo, immerso nei suoi pensieri. Perché la parola di Ascoli (c'è bisogno di dirlo?), pensieri, ne suscita: forse più involontariamente che volontariamente. Un linguista che, avrebbe detto Ferdinand de Saussure, non sapeva ciò che faceva, facendo ottimamente, si badi bene, ciò che faceva.
Adesso, Ascoli, nato suddito di Francesco I di Asburgo-Lorena (se Apollonio non si sbaglia) e morto senatore del regno d'Italia, non ha più nessun codazzo. E certo che, invece, nessuno che pronuncia professionalmente la parola lingua (in italiano, ovviamente, ma anche a proposito dell'italiano) dovrebbe mancare d'essersi imposto almeno la lettura del "Proemio all'Archivio Glottologico Italiano". Questo ha giusto cento quaranta anni; non ha però perso un filo del suo smalto, dietro le effimere occasioni di allora e di oggi.
Da allora, nell'espressione italiana e nella vita sociale che se ne serve, il novo non è infatti mai più mancato: non il manzonismo, ovviamente, ma l'attitudine intellettuale e morale che gli sottostava e di cui, naturalmente, non tutta la colpa, anzi pochissima, va data a Manzoni, che era tutto fuorché un uomo pratico. Una vita intera per un romanzo e per un plotone di figli: tutte fantasie, insomma, diurne e notturne. Ma si può? C'è sempre qualcuno però che si picca di prendere sul serio i grand'uomini, come raramente si dovrebbe invece fare: anche quando prendono un'aria austera, scherzano. E poi corrono sempre dietro ai loro sogni. Restano eternamente bambini.
Al novo, preso dunque qui come emblema, non è bastato essere diventato eventualmente nuovo perché gli argomenti di Ascoli non continuino a colpirlo. Si potrebbe anzi forse dire che dalla malattia del novo la cultura italiana non sia mai più guarita e che di conseguenza del farmaco Ascoli, amaro, si ha sempre bisogno.
L'unità politica (venuta fuori come venne e come a Carlo Cattaneo non piacque per nulla, per esempio) pare abbia inoculato in quella cultura e nella vita sociale nazionale il novo come un agente patogeno. Quel vecchio e valoroso corpo, gracile quanto a costituzione (come Ascoli ben sapeva e scriveva), ha saputo difendersene solo in parte e senza mai veramente guarirne.
Tanto meno oggi, quando magari proprio non pare, rinfocolata com'è l'infezione da un'ondata ulteriore di vacui velleitarismi intellettuali, nei quali trova la sua vocazione la gran folla vociante di chi, correggendo, non la smette di indicare vie che non esistono.
9 ottobre 2013
Ancora su nomi, cognomi e apposizioni
Il prodromo, Apollonio l'aveva colto ormai molti anni fa. Non si ricorda quanti. Gli impegni che il doversi guadagnare da vivere impone al suo alter ego lo portavano allora a calpestare d'elezione le terre di un demo provinciale diverso dall'attuale (e amabilmente barbarico) e, un dì, in una conversazione tra docenti, peraltro di discipline umanistiche, Apollonio colse il seguente scambio di battute: - "E tu dove insegni?" - "Io, al Marone".
Dopo un momento di perplessità, egli apprese così che, nell'ambiente, era divenuto "il Marone" un istituto scolastico che, per compiutezza onomastica, la pedante dottrina di un'epoca lontana aveva intitolato al poeta latino Publio Virgilio Marone e che, anche per memorie dantesche, la medesima antica dottrina mai avrebbe sospettato potesse essere chiamato diversamente da "il Virgilio".
Le cose però cambiano, come si sa, e un paio di millenni di onorata carriera sui leggii di dotti e catecumeni non esentavano evidentemente l'autore dell'Eneide dalla mutazione di appellativo e dal vedersi così designato come un "P.V. Marone" qualsiasi (con l'associato: "Pier Vittorio (o Vincenzo) Marone? chi era mai costui?").
D'altra parte, di cognomen, si dirà, si tratta e c'è qualcuno che, per parlar di Cicerone, passato il Medioevo, lo chiami Tullio? Auspici burocrati, presidenti di consiglio di istituto e dirigenti scolastici (e senza la resistenza dei professori di lettere - ci sarà stata? Sarebbe stata in ogni caso vana), che dunque Virgilio diventi un tal Marone.
Dal profano al sacro. Passano gli anni e sulla scrivania virtuale di Apollonio cade, or sono pochi mesi, il manifesto che annuncia una commendevole iniziativa orientata alla più aggiornata comunicazione della massima istituzione culturale di quel demo. L'occhio di Apollonio scorre rapidamente il manifesto e, testimone l'istituzione che lo commissiona, scopre che la manifestazione ha luogo nella "Chiesa di San A. Abate".
Grato per il sorriso che una simile lettura gli regala, "G. Cristo! Una famiglia benemerita, la famiglia Abate", pensa a quel punto Apollonio: essa ha infatti dato parecchi santi alla Chiesa. E come l'Abate, le famiglie Apostolo, Martire, Vergine, Eremita, Vescovo, Papa e persino Confessore: la beata M. Vergine, per esempio, San P. Apostolo, San G. Martire, San C. Eremita, San P. Papa, San V. Vescovo, San L. Confessore e innumerevoli altri e altre.
Visto che le cose cambiano, ecco appunto, in corpore vili (mai designazione fu più appropriata), come la gente di mondo (quella cioè che sa come cambiano, perché cambia come le cose) cambia anche i nomi dei luoghi e delle cose. Come, senza cambiar mai, ha sempre fatto.
7 ottobre 2013
6 ottobre 2013
Cronache dal demo di Colono (18): Prendere la via della finestra
Questo nuovo secolo deve avere serrato le sue porte, se ci sono uomini del Novecento cui, per uscire come se fuggissero da una prigione, non rimane che prendere la via della finestra.
5 ottobre 2013
A frusto a frusto (75)
Sulla via d'una prassi di ascesi sensibile, a preservare il gusto, si sa, provvede il disgusto. Tatto e olfatto sono difesi dalla distanza, sempre che se ne abbia la fortuna. Necessitano esercizio invece saper vedere senza guardare e sapere udire senza ascoltare.
4 ottobre 2013
1 ottobre 2013
Cronache dal demo di Colono (17): La lingua fa cassetta
Ci si faccia caso. Oggi, le opere dell'ingegno che, prendendo a pretesto la lingua, mirano a "fare contatti", a "fare ascolti" (e, nella migliore delle ipotesi, a "fare cassetta": quella che si può, ormai, e che pare non sia troppa e forse nemmeno abbastanza) appartengono spesso a una delle tre seguenti categorie:
- gli stucchevoli sentimentalismi;
- le prescrizioni moraleggianti;
- gli spropositi sesquipedali.
Ci sono spie espressive che permettono una facile categorizzazione.
La prima categoria è infatti riconoscibile dal ricorrere di espressioni come "...quante memorie: è una preziosa parola della mia infanzia..." o equivalenti.
La seconda, dal ricorrere di espressioni come "Che orrore, dottor mio! Che scandalo e che decadenza! Bisogna si provveda ancora con buone norme di comportamento" (in variante incattivita, "Dagli al miserabile! Che impari una volta per tutte il rispetto e come ci si conduce!") o equivalenti.
La terza categoria, detta anche del "vediamo chi, in proposito, riesce a spararla più grossa", è caratterizzata dal ricorrere di espressioni come "...ed è così che, come dicono i fatti, dalla notte dei tempi (in alternativa, dal profondo della natura, o del cervello), scaturisce..." o equivalenti.
Grazie al Cielo (e come sempre), anche tra le opere dell'ingegno cui la lingua fa da pretesto per fare cassetta, ci sono le lodevoli eccezioni.
- gli stucchevoli sentimentalismi;
- le prescrizioni moraleggianti;
- gli spropositi sesquipedali.
Ci sono spie espressive che permettono una facile categorizzazione.
La prima categoria è infatti riconoscibile dal ricorrere di espressioni come "...quante memorie: è una preziosa parola della mia infanzia..." o equivalenti.
La seconda, dal ricorrere di espressioni come "Che orrore, dottor mio! Che scandalo e che decadenza! Bisogna si provveda ancora con buone norme di comportamento" (in variante incattivita, "Dagli al miserabile! Che impari una volta per tutte il rispetto e come ci si conduce!") o equivalenti.
La terza categoria, detta anche del "vediamo chi, in proposito, riesce a spararla più grossa", è caratterizzata dal ricorrere di espressioni come "...ed è così che, come dicono i fatti, dalla notte dei tempi (in alternativa, dal profondo della natura, o del cervello), scaturisce..." o equivalenti.
Grazie al Cielo (e come sempre), anche tra le opere dell'ingegno cui la lingua fa da pretesto per fare cassetta, ci sono le lodevoli eccezioni.
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