Altre ce ne furono, ce ne sono, ce ne saranno.
Eppure ci sono filologi (forse perché oggi sempre più sparuti campioni di una prospettiva sparente) che ne paiono inconsapevoli: né Apollonio, si badi bene, si chiama fuori del novero (naturalmente nelle fila dei meno valenti, per servirsi d'una eufemistica litote, e dei dubbiosi).
E, tra i filologi, ci sono linguisti che si dicono storici e che tutto sarebbero disposti a storicizzare, tranne se medesimi, i propri metodi e le proprie idee.
Credono, costoro, la loro specie, una volta apparsa sulla faccia della terra, destinata a restarvi per sempre. La credono fuori di quella storia che pure invocano come paradigma interpretativo di un incessante mutare. E fanno della loro disciplina una religione (e se non ci fosse altro modo di pensarla?).
La giudicano capace e si giudicano loro medesimi capaci di una parola valida come verità eterna. Non destinata quindi, con i principi e i metodi cui tale parola fa appello, a fare figura un giorno (forse non troppo lontano, forse già il presente) di comica fola.
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