Quando raccontarsela sia venuto fuori, come verbo particolare, nell'espressione italiana, coi valori che ogni parlante oggi saprebbe assegnargli e che son quelli di una coscienza, della propria esperienza di vita, falsa, imbonitrice e consolatoria, Apollonio non sa. Né ha voglia, adesso, di mettersi a cercare di saperlo. I dizionari che ha sottomano non lo registrano e ha il sospetto che sia finora sfuggito anche agli occhiuti raccoglitori di parole nuove, magari con ragione, perché nuovo, raccontarsela, può darsi non sia: può darsi che, su bocca italiana, viaggi da tempo.
Nuovo gliene pare, in ogni caso, l'uso ampio e diffuso: quella sorta di coagulo concettuale, di fresco emergere alla luce (senza che ne consegua ovviamente consapevolezza) che frequenza e popolarità d'una forma lessicale finiscono per attribuire a un'attitudine. Certo, questa esiste da sempre ma, designata ossessivamente da una parola specifica, è come se rinascesse.
Il caso, peraltro perverso, di gattopardo è esemplare, in proposito. Non che prima i gattopardi non ci fossero: ma l'uso, anche a sproposito, della parola ne ha lucidato e fatto brillare l'esistenza. E, allo stesso modo, non che prima non ce la si raccontasse, ma adesso, che raccontarsela c'è e dappertutto, è appunto tutto un lampante raccontarsela.
L'annuncio in esordio mette sotto forma pubblicitaria (ed emblematica) raccontarsela: nel modo opportuno (né moralmente censurabile) del ciarlatano. Esso vende un futuro (per sua natura, a dir poco, ipotetico) come fosse un passato già da narrare, museale e, naturalmente, nelle forme del mito: addirittura, con l'uso di arcani passati remoti e di meno strani imperfetti. Lo vende così perché a comprarlo ("ragazzi", maschile, per ovvie ragioni: eterni bambini) c'è chi, anzitutto, vuole raccontarsela. Chi è disposto a prestare l'intera sua fede al futuro finale sarà, una volta che una maestrina tecnologica, in un contesto ovviamente più fantasy che fantascientifico, gli abbia propinato in esordio un fu, come chiave per raccontarsela.
Epoca divertente, infatti, la presente, e di chiara perdita, dietro le pompe ideologiche di chi la sta raccontando e se la sta raccontando, di molti lumi di elementare ragionevolezza. Narrando provocatoriamente il futuro, nel Moderno, la cosiddetta fantascienza non la raccontò né se la raccontò. Fece semmai il contrario. Oggi, putrefattosi il Moderno, anche quanto al futuro, come lascia intendere (involontariamente?) l'annuncio, con la quasi disperata certezza che degno di narrazione ci sarà poco, come sempre poco c'è stato e c'è, non resta appunto che raccontarsela.
In effetti l'idea di vendere ciò che passa ed è transeunte in sommo grado (anche nella permanenza del prezzo contenuto) come la classica, direi logora "occasione unica e irripetibile da non perdere", neanche fosse il bosone di Higgs imbottigliato in un miliardesimo di secondo dalle raffinatissime Termopili tecnologiche approntate da veri intenditori del ramo, è un'idea di geniale ciarlataneria, un'evoluzione indiscutibile del "bimbi piangete, vado via!".
RispondiEliminaE' molto più discutibile la qualità della fiducia o fede -- come l'ha definita Lei -- che si cerca di catturare con questa strizzatina d'occhio da ologramma a zombie (è un contesto più fantasy che fantascientifico, dopo tutto, vero?) e viceversa. Se non fosse per l'ottimo maestro involontariamente "anche" tecnologico che ce lo fa notare, non solo perderemmo un'occasione di divertimento ma anche una, molto più preziosa -- direi senza prezzo -- di inquietarci e tenere ben vive le braci dell'inquietudine, almeno fino al prossimo campionato... elettorale.
Con stima non impermanente, Sua Licia.