Metafora spenta è una metafora. Anzi una doppia metafora, perché metafora è già a suo modo una metafora, per giunta spenta, per vertiginosa mise en abyme. Ed è a sua volta una metafora anche spenta ma non ancora completamente spenta. Metafora spenta è di conseguenza la combinazione di due metafore, una spenta e una non spenta.
In italiano (e in varietà sorelle), testa è una metafora spenta esemplare. Per dir la medesima cosa, chi parlava latino diceva caput (e qualcuno deve aver continuato, visto che di caput qualche resto c'è ancora). Gli spiritosi presero però a commutare caput con testa, 'vaso di terracotta', col pretesto di alludere per figura allo scarso pregio e alla vuotaggine del caput così designato: un'attitudine certo non benevola per il suo titolare.
Poi andò evidentemente come oggi si può dire con certezza sia andata. La metafora piacque tanto e piacque a tanti che, testa oggi, testa domani, testa a destra, testa a sinistra, non ci fu quasi più caput che non fosse divenuto testa. C'è ancora chi si stupisce se Apollonio ribadisce qui la convinzione, sua e del suo alter ego, che il cambiamento linguistico coincide, per certi suoi non trascurabili aspetti, con l'ineluttabile prevalere del cretino?
La metafora testa pian piano si raffreddò e, infine, si spense. Da allora, testa è parola, cui, volendo far gli spiritosi, bisogna trovare un sostituto metaforico, che di un traslato abbia ancora il calore: zucca, pera, coccia, cocuzza. Ed è parola che può persino essere usata per esprimere proprio il contrario di ciò che valeva agli esordi della sua fortunata estensione figurata. Oggi, si loda e non si spregia colui a proposito del quale si dice (per metafora metonimica) che "è una testa". Ascoltassero l'espressione gli antichi spiritosi promotori della metafora, si terrebbero la pancia dalle risa! Ma la natura è clemente e non espone gli eredi al ludibrio che, ne fossero osservati, meriterebbero certo da parte dei loro antenati.
A proposito di cause di buonumore, anche testo è una metafora: una metafora spenta nelle teste dei parlanti comuni, che hanno tutto il diritto di non tenerci troppa roba accesa, nelle loro teste. Spenta, pare lo sia, adesso, anche in quella di chi, apprende Apollonio, dichiara di procedere, da specialista, "sul filo del testo".
Testo è 'tessuto, intreccio': ormai celata ai più, è questa la ratio analogica della sua natura metaforica. A differenza del discorso, cioè del 'correre qui e là', alla cui pratica - per non perdersi - può eventualmente bastarne uno solo, di fili, un testo, non può che averne più d'uno. Altrimenti, che intreccio è?
Monstrum vel prodigium, allora, un testo dal filo singolare e con articolo determinativo. Così almeno lo percepisce, per via d'una incoerenza testuale sottile come un filo, il torpido spirito del vecchio Apollonio, al quale pare che, a differenza di testa, dove ormai non c'è appunto più niente di acceso, c'è ancora un po' del fuoco di un tropo sotto la cenere di testo.
Ne segue che chi vuol metterci dentro le mani per rovistarvi, deve curare di non farlo incautamente: c'è il rischio che se le ustioni.
In italiano (e in varietà sorelle), testa è una metafora spenta esemplare. Per dir la medesima cosa, chi parlava latino diceva caput (e qualcuno deve aver continuato, visto che di caput qualche resto c'è ancora). Gli spiritosi presero però a commutare caput con testa, 'vaso di terracotta', col pretesto di alludere per figura allo scarso pregio e alla vuotaggine del caput così designato: un'attitudine certo non benevola per il suo titolare.
Poi andò evidentemente come oggi si può dire con certezza sia andata. La metafora piacque tanto e piacque a tanti che, testa oggi, testa domani, testa a destra, testa a sinistra, non ci fu quasi più caput che non fosse divenuto testa. C'è ancora chi si stupisce se Apollonio ribadisce qui la convinzione, sua e del suo alter ego, che il cambiamento linguistico coincide, per certi suoi non trascurabili aspetti, con l'ineluttabile prevalere del cretino?
La metafora testa pian piano si raffreddò e, infine, si spense. Da allora, testa è parola, cui, volendo far gli spiritosi, bisogna trovare un sostituto metaforico, che di un traslato abbia ancora il calore: zucca, pera, coccia, cocuzza. Ed è parola che può persino essere usata per esprimere proprio il contrario di ciò che valeva agli esordi della sua fortunata estensione figurata. Oggi, si loda e non si spregia colui a proposito del quale si dice (per metafora metonimica) che "è una testa". Ascoltassero l'espressione gli antichi spiritosi promotori della metafora, si terrebbero la pancia dalle risa! Ma la natura è clemente e non espone gli eredi al ludibrio che, ne fossero osservati, meriterebbero certo da parte dei loro antenati.
A proposito di cause di buonumore, anche testo è una metafora: una metafora spenta nelle teste dei parlanti comuni, che hanno tutto il diritto di non tenerci troppa roba accesa, nelle loro teste. Spenta, pare lo sia, adesso, anche in quella di chi, apprende Apollonio, dichiara di procedere, da specialista, "sul filo del testo".
Testo è 'tessuto, intreccio': ormai celata ai più, è questa la ratio analogica della sua natura metaforica. A differenza del discorso, cioè del 'correre qui e là', alla cui pratica - per non perdersi - può eventualmente bastarne uno solo, di fili, un testo, non può che averne più d'uno. Altrimenti, che intreccio è?
Monstrum vel prodigium, allora, un testo dal filo singolare e con articolo determinativo. Così almeno lo percepisce, per via d'una incoerenza testuale sottile come un filo, il torpido spirito del vecchio Apollonio, al quale pare che, a differenza di testa, dove ormai non c'è appunto più niente di acceso, c'è ancora un po' del fuoco di un tropo sotto la cenere di testo.
Ne segue che chi vuol metterci dentro le mani per rovistarvi, deve curare di non farlo incautamente: c'è il rischio che se le ustioni.
Nessun commento:
Posta un commento