Con università fu designata un'istituzione moderna destinata a fingersi fatua e che così ha prosperato al tempo dei suoi ormai lontani fasti. Fingersi fatua era pregio non tra gli ultimi di tale ironica istituzione e, del resto, era proprio il suo tratto istituzionale distintivo.
Poi, per seguitare l'andazzo, quando il livello di tolleranza sociale nei confronti della fatuità scese al di sotto anche della soglia di una sua ironica finzione, all'università toccò di cominciare a fingersi seria. Fu appunto l'inizio della fine.
Da sempre, infatti, fingere serietà è tratto tipico di altre istituzioni, che all'uopo son venute alla luce (alcune da tempo immemorabile, altre più di recente: la fabbrica sociale ne è sempre all'opera) e sotto tale segno sono cresciute: chiese, magistrature, organismi politici.
Esse riempivano il valore di finzione di serietà in modo ben più efficace di quanto facesse un'istituzione concepita invece, e poi nata, e sviluppatasi per fingersi fatua. Ovvio si sia a quel punto concluso non valesse più la pena di tenere in vita l'università.
Come è facile rendersi conto, il nome università non è stato però abbandonato. Opportunamente riciclato, secondo lo spirito del tempo, sta appunto ancora risultando molto utile (senza sprechi lessicali di sorta) a designare qualcosa non facilmente definibile, in essenza. Affatto incapace di fingersi fatua per ironia, consegnata dalla storia, peraltro, all'inutilità paradossale della sua troppo scoperta finzione di serietà, l'istituzione oggi designata con università è forse, in conclusione, fatua soltanto e, stavolta, sul serio.
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