I frustoli di questo scombiccherato diario sono più di seicento. Apollonio non ricorda, di tutti, temi e dettagli, donde ripetizioni, lacune, cambi di programma, imprecisioni e tutto ciò che si associa di norma alla logorroica espressione governata da una senilità che inclina alla demenza.
Che di sua senilità sia ormai esclusiva questione, Apollonio ha del resto prove a iosa.
Pensino i suoi cinque lettori: egli ha vissuto (e di ciò, come di altre vicende infantili, conserva memoria) un'epoca in cui, con preteso argomento di scienza, reputati specialisti della sua disciplina gli additavano derisoriamente come dilettantesche e cervellotiche le sortite di chi pretendeva che, per esempio, agli abitanti di certe aree del pianeta, per via del freddo intenso, poco si addicesse di tenere aperta la bocca, donde, nelle relative lingue, penuria di vocali, riccamente presenti invece in lingue di popolazioni esposte a climi temperati o caldi.
Quell'epoca è ormai perenta e lui, come un relitto, è invece ancora qui, quando non si sa il clima del pianeta, ma certamente il clima della scienza è parecchio cambiato.
Con rigore di metodo e affidabilità di risultati, la scienza d'oggi dimostra infatti che, come per la stagionatura dei salumi, è l'aria fine e il clima secco dell'alta montagna a favorire la presenza nelle lingue di segmenti eiettivi. Dimostra poi che mettersi a parlare una lingua tonale in un clima arido è proibitivo almeno quanto vendere frigoriferi agli eschimesi.
Il mutamento climatico della scienza è lampante e, apprendendo di queste solide acquisizioni conoscitive, ad Apollonio è già venuto il freddo. Gli capita poi, per antico vizio, di esprimersi in una lingua con tante vocali. Meglio che, sul tema, visto il clima, non apra più bocca.
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