A Francesco Gabbani si deve augurare di non essere sommerso e inghiottito dal diluvio di discorsi sostenuti che sta suscitando e, anzitutto, di tenere a galla la sua faccia da italiano impunito e sulla soglia di una maturità personale non si sa se rimandata o appena conseguita. A tale faccia, secondo il parere di Apollonio, egli deve una parte di questo suo successo.
Si tratta d'altra parte di un prodotto tipico nazionale, a lungo poco valorizzato per congiunture sulle quali non è il caso di diffondersi. Ma in proposito è sufficiente si pensi anzitutto al genere, sottolineato dai baffetti, e correlativamente a un'attitudine né moralista né sentimentale. Sono, si osservi, questi ultimi i caratteri che marcavano peraltro tanto le figure quanto le canzoni che, al momento decisivo, gli si sono trovate contrapposte.
Una faccia così mancava da un po' dalla scena della canzonetta italiana (e forse non solo da quella della canzonetta) e, oltre alla predisposizione nativa, a Gabbani servirà molto lavoro per portarla con dignità. In proposito, il peso della tradizione non è infatti ignobile. E, sfuggendo alle volgari chiacchiere intellettuali, in ciò si parrà appunto, se c'è, la sua nobilitate.
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