Come ogni officina, anche quella dell'alter ego di Apollonio ha un banco di prova. Riccardino, l'estremo prodotto della penna di Andrea Camilleri (estremo, al momento), sta lì, con altra roba, in attesa di un'occasione che forse non verrà mai. Apollonio lo sfila dalla pila e comincia a scorrerlo. In fondo a pagina 12, "I cabasisi a Montalbano gli principiarono a firriari tanto vorticosamenti che si scantò di decollari da un momento all'autro". Legge e non riesce ad andare oltre. Gli si mette di traverso non un pensiero definito, ma una sorta di immagine fantasmatica. Nella figura, riconosce un Luigi Pirandello ideale nei tratti e dall'attitudine severa.
I due lettori di questo diario lo sanno: chi lo detta è un tipo strambo e strambe e cervellotiche sono spesso le sue associazioni di idee. Stavolta, però, l'appena riferita epifania interiore non si può dire sia effetto di tale bizzarria spirituale. L'uscita dell'ultimo episodio della serie del commissario Montalbano è stata annunciata a più riprese durante l'anno che è trascorso dal giorno della morte del suo creatore e, negli ultimi mesi, cioè alla vigilia di un'estate di ombrelloni domestici e di letture da spiaggia caserecce, è stata accompagnata da un'intensa campagna promozionale. Di tale campagna, Luigi Pirandello è stato proposto come testimonial virtuale e il suo nome vi è stato evocato senza risparmio, non solo per le arcinote ragioni di congruenza geografica. "Autore", "personaggio" e altri connessi luoghi comuni ne hanno in effetti annobilito oltremodo gli accenti.
Che dunque alla lettura di "I cabasisi a Montalbano gli principiarono a firriari tanto vorticosamenti che si scantò di decollari da un momento all'autro" lo spirito di un Apollonio qualsivoglia possa popolarsi fantasmaticamente dell'ombra di un severo Luigi Pirandello e che tale ombra gli imponga di non procedere oltre "ci può stare" (come oggi pare si debba dire per riferirsi a ciò che è prevedibile). Ma non è tutto.
Che dunque alla lettura di "I cabasisi a Montalbano gli principiarono a firriari tanto vorticosamenti che si scantò di decollari da un momento all'autro" lo spirito di un Apollonio qualsivoglia possa popolarsi fantasmaticamente dell'ombra di un severo Luigi Pirandello e che tale ombra gli imponga di non procedere oltre "ci può stare" (come oggi pare si debba dire per riferirsi a ciò che è prevedibile). Ma non è tutto.
Sbigottito, Apollonio ha appena finito di rileggere "I cabasisi a Montalbano gli principiarono a firriari tanto vorticosamenti che si scantò di decollari da un momento all'autro" che, sempre nella sua visione interiore, un'altra figura emerge lentamente alle spalle di Pirandello: lo spettro di Leonardo Sciascia. Anche lui gli intima l'alt.
Di nuovo, albergare fantasie incongrue è certo difetto, se non colpa di Apollonio, ma chi non ammetterebbe in tal caso l'esistenza di attenuanti? Tra le mani ha un libro dalla copertina blu di Prussia, copertina che fa da inconfondibile marchio di una collana, "La memoria" e, con tale collana, di una casa editrice, per una metonimia giustificatissima dai dati di vendita. E non fu Leonardo Sciascia ad animare nascita, infanzia e prima giovinezza di quella casa editrice e a volervi specificamente quella collana? Non fu Sciascia a battezzare la collana con un nome tanto impegnativo? Non c'è o non potrebbe esserci ancora oggi l'ombra di Sciascia nascosta sotto il risvolto di copertina di ogni libro che la fa crescere di numero?
E poi Racalmuto e, oggi, Porto Empedocle, ambedue a due passi da Agrigento, anzi, dalla Girgenti, appunto, di Pirandello. Calliope getta un passo e ne tocca una delle tre, sciogliendovi cera della sua tavoletta, a beneficio dei locali aedi, pronti a rimodellarla. Saranno contigue di conseguenza Vigata e Regalpetra, fatte della medesima cera. Apollonio le ha sempre viste non tanto lontanissime, quanto incommensurabili, ma sarà lui lettore tardo e privo di penetrazione, incapace di intendere che per un Racine, per uno Stendhal, c'è un Rabelais.
Fatto sta che lo spettro di Sciascia, risentito, come Sciascia fu peraltro in vita, s'unisce a quello severo di Pirandello e i due non si muovono. Trattengono ancora Apollonio sopra quella frase. Gli ingiungono di compitarla: "I ca-ba-si-si a Mon-tal-ba-no gli prin-ci-pia-ro-no a fir-ria-ri tan-to vor-ti-co-sa-men-ti che si scan-tò di de-col-la-ri da un mo-men-to al-l'au-tro".
Da lì, da un esercizio tanto improbabile e gratuito, d'improvviso, non un'illuminazione, ma l'oscura finestra di un dubbio.
Nella fine figura del turbinoso girare dei coglioni di Salvo Montalbano, nel correlato e aereo tropo del suo conseguente timore di sollevarsi finalmente in volo ci sarà, bene o male, bello o no, il quid artistico e letterario dell'opera di un Andrea Camilleri mai troppo rimpianto? È questo che, ostacolandogli pervicacemente il cammino con il loro corruccio, le due vane larve, i due sdegnosi lemuri vogliono che Apollonio intenda?
Da lì, da un esercizio tanto improbabile e gratuito, d'improvviso, non un'illuminazione, ma l'oscura finestra di un dubbio.
Nella fine figura del turbinoso girare dei coglioni di Salvo Montalbano, nel correlato e aereo tropo del suo conseguente timore di sollevarsi finalmente in volo ci sarà, bene o male, bello o no, il quid artistico e letterario dell'opera di un Andrea Camilleri mai troppo rimpianto? È questo che, ostacolandogli pervicacemente il cammino con il loro corruccio, le due vane larve, i due sdegnosi lemuri vogliono che Apollonio intenda?