Nel rumoroso cortile della comunicazione pubblica nazionale è esplosa in questi giorni una furibonda baruffa. Pretesto, più che ragione, ne sono stati i modi con cui nello scritto italiano, in alcune circostanze, ci si potrebbe (c'è chi opina, ci si dovrebbe) esimere da quell'espressione di un genere grammaticale che la lingua di Dante impone a chi se ne serve.
Ad Apollonio è così tornato in mente un passo di Roman Jakobson. Lo si legge nel suo scritto più sapiriano, consacrato del resto a Franz Boas. Dalla scuola di Boas Edward Sapir era appunto uscito. Il passo contiene una delle più affilate e celebri sortite di Jakobson: "Thus the true difference between languages is not in what may or may not be expressed but in what must or must not be conveyed by the speakers". E sapiriana ne è la spiritosa illustrazione (oltre che frutto diretto e palese dell'Erlebnis del linguista russo trapiantato negli Stati Uniti): "If a Russian says: Ja napisal prijateliu 'I wrote a friend', the distinction between the definiteness and indefiniteness of reference ('the' vs. 'a') finds no expression, whereas the completion of the letter is expressed by the verbal aspect, and the sex of the friend by the masculine gender. Since in Russian these concepts are grammatical, they cannot be omitted in communication, whereas after the English utterance «I wrote a friend», interrogations whether the letter has been finished and whether it was addressed to a boy-friend or to a girl-friend, can be followed by the abrupt reply - «it's none of your business»".
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