Esprimersi linguisticamente è disporre di un'enorme quantità di conoscenze. Condurre tali conoscenze verso la consapevolezza e attivarle nella direzione di una coscienza linguistica la più ampia possibile è (o dovrebbe essere) il compito della linguistica.
Come osservanza e come disciplina, questa instaura lingua e lingue come suoi oggetti, nel momento stesso in cui il suo sguardo le inquadra con metodo e prova appunto a farsene consapevole.
Non c'è linguista migliore del locuteur, quando, come locuteur, egli si ascolta e prende coscienza che il suo lavoro di scoperta non è altro che attenzione e tensione a una consapevolezza trascendentale. È insomma il tentativo di sapere ciò che fa non solo da linguiste, ma anche e soprattutto da locuteur: ciò che fa egli stesso, come, da locuteur, ha fatto, fa, farà ogni altro essere umano, in mille e mille guise diverse.
Che poi ve ne siano di "locuteurs" ideali è un'altra storia.
RispondiEliminaE infatti, se lo legge con attenzione, vedrà che il modesto frustolo non chiama in causa né un né il locuteur ideale, Lettore o Lettrice senza nome. Quella fu figura che furoreggiò in altre e perente stagioni della disciplina. Ma lasci che Apollonio, sorridendo, Le risponda ancora che, se latitano i locuteurs ideali, ancora di più latitano i linguisti ideali...
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