"Non esiste purtroppo uno studio sull'italiano scritto degli insegnanti: è vero che alcuni sono rispettabili studiosi e autori riconosciuti (per esempio Edoardo Albinati, Domenico Starnone, Marco Lodoli, Paola Mastrocola, Eraldo Affinati, Margherita Oggero) ma gli altri, la stragrande maggioranza? La domanda equivale a un allarme: come può correggere uno scritto chi non ha mai avuto l'obbligo e sentito la necessità di scrivere, chi in effetti non scrive dalla tesi di laurea e lo fa, da tempo immemorabile, soltanto sul registro e nel retro d'un compito in classe?". Se lo chiede con sdegnoso pathos Massimo Raffaeli oggi, sulla Stampa. Chiude così in crescendo un'elogiativa recensione del libro di Luca Serianni e Giuseppe Benedetti, Scritti sui banchi. Non è chiaro se la domanda compaia in forma comparabile e con portata identica nel libro. È una novità. Apollonio non l'ha ancora avuto tra le mani e non può dirne nulla ai suoi due lettori. Da ciò che ne scrive Raffaeli, sembra che esso tematizzi l'italiano scritto degli elaborati scolastici dei discenti, in funzione del quale verrebbe poi fuori "l'allarme" (del recensore? degli autori?) sull'italiano dei docenti. "Emergenza insegnanti" rincara il sommario "come può correggere uno scritto chi non scrive più dalla tesi di laurea?".
Può farlo e molto bene, è la risposta che nasce immediata nello spirito di Apollonio. Basta solo che legga, che legga tanto e con consapevolezza. Ed è ciò che hanno sempre fatto e fanno gli insegnanti coscienziosi: quelli che non scrivono sui giornali ma solo, e con encomiabile modestia, "sul registro e nel retro d'un compito in classe", secondo lo sprezzante giudizio di Raffaeli. Il cielo ci guardi, al contrario, da correttori la cui competenza fosse certificata, come Raffaeli implicitamente sostiene, dal bisogno o dalla necessità di scrivere, cui invece andrebbe sempre opposta una fiera resistenza. I meno che modesti esiti di questo medesimo blog sono i primi per paradosso a darne prova.
E, d'altra parte, se c'è qualcosa di veramente difficile da insegnare (e per cui la scuola, non solo quella italiana, fa difetto) è a saper leggere, appunto, e non a saper scrivere, come oggi corrivamente si inclina a credere. Si surroga così con un'illusoria crescita della capacità di comunicazione ciò che invece andrebbe didatticamente perseguito: la crescita interiore di una consapevolezza espressiva che si esercita, anzitutto, nell'ascolto e nella lettura.
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