Antemio Procopio: protagonista di un romanzo fin qui sconosciuto, e oggi fortunosamente ritrovato, di Emilio De Marchi; l'autore, per intendersi, del meglio noto Demetrio Pianelli. Modesto impiegato, anche Antemio Procopio, non del Demanio, come il Pianelli, ma del Catasto, dalla vita oscura e senza speranza di luce, perché impastoiata da vicende familiari complesse e neppure tragiche. Tragiche, al massimo, per il grigiore irredimibile dei loro minuscoli attori, incluso il protagonista.
D'accordo. Basta così. Apollonio la smette, con questa ennesima fola. Ci ha provato. Ma tanto per dire. Sa che è impossibile mettere nel sacco i suoi cinque lettori: attenti, competenti come chiunque scriva (persino chi lo fa con le bombolette sui muri o, ancora più sconsideratamente, con una tastiera in un blog) non può non augurarsi di avere.
Tanto, loro, i suoi lettori, lo sanno bene: Antemio Procopio fu un imperatore romano d'Occidente. Uno degli ultimi, di quelli il cui nome non si fa proprio mai. Meglio: il cui nome veniva fuori, per (richiesta di) puro esibizionismo nozionistico, in esami universitari di qualche disciplina filologica minore, a cavaliere tra storia romana e storia medioevale. Poniamo, "Storia dell'Impero romano d'Oriente".
Fu un imperatore d'Oriente, infatti, che lo mise lì, Antemio Procopio, come fantoccio, per contrastare il potere, in Occidente, d'un generale goto che, a sua volta, di imperatori-fantoccio ne aveva già prima prodotti, quindi eliminati un paio. Eliminò infine anche il povero Antemio Procopio. C'è da chiedersi di conseguenza (domanda oziosa per gente oziosa) se, per un Antemio Procopio qualsiasi, più fausta e onorevole non sarebbe stata la vita (di carta) d'impiegato del Catasto italiano, sul crepuscolo dell'Ottocento.
Di Antemi Procopi, imperatori-fantoccio veri e non falsi impiegati del Catasto, nel mondo non c'è mai stata mancanza né mai ce ne sarà. Ci sono epoche, tuttavia, particolarmente feconde, per il tipo, del resto facilmente riproducibile in serie. In epoche del genere, circolano Antemi Procopi in quantità, onorati (non si sa come e perché. O, magari, si sa benissimo come e perché) da titoli, cariche, premi reboanti e di grande effetto, di cui capita peraltro non riescano a trattenersi dal farsi incontinentemente belli: "Guardate tutti come porto bene lo scettro. E che scettro! Lo scettro di Cesare".
Ritengono, gli Antemi Procopi, che lo scettro non solo garantisca per loro ma persino li onori. E sono ignari del fatto che, invece, uno scettro illustra e onora ben poco e a rendere illustri gli scettri sempre sono (state) circostanze eccezionali, ivi incluse ovviamente le qualità umane eccezionali (fortuitamente eccezionali, spesso, se non sempre) dei titolari di scettro.
Che prima di un Antemio Procopio, sia stato Marco Ulpio Traiano, per non fare un nome a caso, a fregiarsi del titolo di Cesare e a coprirne la relativa carica dice poco del valore dell'Antemio Procopio né lo illustra. Anzi, se quel valore è scarso o non c'è, invita crudamente a constatare, per ineludibile paragone, lo stato di degrado di titolo e carica e delle procedure per la loro assegnazione.
Ammesso che mai ne sia valsa la pena, all'altezza di Antemio Procopio, messi da parte il godimento di qualche effimero agio palatino e la compagnia d'una modesta congrega di cortigiani pronti a squagliarsela, è poi veramente il caso di prestarsi a diventare imperatore d'Occidente, lasciando così di sé, per comparazione di fortunati (e forse meglio provvisti) predecessori, l'immagine d'uno sciocco disgraziato?
Per passare dalla grande politica tardo-antica a sfere più frivole e della modernità, scivolando così di quindici secoli, che Ennio Flaiano o Primo Levi abbiano reso illustri, coi loro nomi, noti concorsi letterari italiani, dice qualcosa delle qualità di qualche Antemio Procopio in séguito onorato di allori che si fa forse fatica a dire i medesimi?
La presente, è allora epoca propizia all'eventualità straordinaria dei Cesari o alla regolare proliferazione degli Antemi Procopi? Ogni volta che si parla di onori, di titoli, di cariche è opportuno ci si interroghi in proposito. Lo si precisa, a scanso di equivoci: inutile richiedere ad Apollonio una risposta. Non la possiede e, del resto, tocca a ciascuno di trovarla da sé. Ha però un sospetto, guardandosi intorno e senza pregiudizio sul generale valore dei tempi. Che, di Antemi Procopi, ce ne sia in giro qualcuno.
Ne incontrasse uno, pur sapendo che sprecherebbe il fiato, perché il destino di ciascuno è il suo destino e mutarlo è impossibile, sommessamente lo inviterebbe a chiedersi se, Antemio Procopio per Antemio Procopio, al posto di passare per secoli da imperatore falso e fantoccio, non gli risulterebbe, infine, più umanamente soddisfacente e onorevolmente dignitosa una vita vera da oscuro impiegato al Catasto, con l'inestimabile annesso premio d'un veloce oblio.