25 aprile 2014

Come cambiano le lingue (7): Metafora quotidiana

I parlanti non ne hanno consapevolezza, ovviamente: l'etimo di cosa, parola italiana quante altre mai generica, quanto a uso e significato, è il latino causa, che, ai suoi tempi e in origine, generica non era: lo è diventata. 
Causa un giorno, causa un altro, però, e messa lì, causa, nei discorsi, tanto a proposito quanto a sproposito, e ovviamente molto, enormemente più a sproposito che a proposito, piaciuta poi l'espressione a chi è sempre pronto a stare sulla cresta dell'onda del cambiamento (linguistico), causa è diventata una cosa qualsiasi. 
E che cosa sia una causa strapazzata, fatta polpetta e andata a ramengo non importa ovviamente più a nessuno di coloro che, da secoli, dicono felicemente cosa
Del resto, non può essere che così: il cretino prevale, ineluttabilmente, dentro chiunque parli e, nel complesso, nella società dei parlanti. E col cretino, prevale l'approssimazione. 
Opporsi al cretino è insomma una causa persa o, come direbbe un personaggio di Andrea Camilleri, "non è cosa". Anzi, di norma, opporglisi è manifestazione di una forma complementare di stupidità, la pedantesca. Talvolta più pericolosa, perché, come capita coi sentimenti dei sicuri perdenti, rabbiosa e, si desse l'occasione, gratuitamente sanguinaria. 
Solo la lingua, per le sue vie segrete, sistematiche e impersonali, ripara col tempo le sciocchezze. Della pochezza espressiva umana, riesce così a fare, di nuovo e non si sa come, arcane meraviglie. Di modo che gli stupidi abbiano ancora lavoro e vadano ancora avanti con le loro approssimative idiozie, sulla via indefinita (infinita, non la si può certo dire) della storia umana. Che, come la storia personale di ciascuno (anche l'espressiva), può essere guardata con spirito compassionevole, bene che vada, mai con orgoglio o con l'illusione che porti verso il meglio.
Ebbene, ciò che capitò a causa, fatte ad oggi le dovute proporzioni (di domani, nessuno può dire), sta capitando adesso a metafora
Apollonio l'ha già più volte detto (e i suoi lettori ne avranno piene le tasche). Se lo ridice, però, è perché, passo dopo passo, gli pare di vederne sbiadire ogni valore denotativo. E se quando la si cominciò ad adoperare "a bischero sciolto", essa, a infranciosare i discorsi, sostituiva espressioni più tecniche e connotate, ma sempre relative all'area della lingua figurata (per es., sineddoche o allegoria), la si vede adesso gettata lì a casaccio, come semplice e puro sproposito, tanto per dire qualcosa che non si saprebbe come altro dire, per tirare fuori una paroletta magica che, qualunque sia il tema, si può stare tranquilli che ci stia. Non significa proprio nulla, infatti. O tutto, che è appunto la stessa causa, pardon!, cosa.
Un recente esempio? Il titolo, forse redazionale, forse no, del trafiletto di un critico televisivo emunctae naris e dallo stile di norma piuttosto risentito: Pif in Groenlandia diventa una metafora
Chiedersi cosa vuol dire servirebbe a poco: è una metafora, no? Tutto, nel mondo, è pronto per essere una metafora. Quindi lo può diventare. Lo è o può diventarlo, a fortiori, una metafora. Insomma, come per cosa, se c'è qualcosa, ancora, che non è una metafora, per esempio una metafora, si può star tranquilli che presto lo diventerà, una metafora. La metafora d'una metafora. Chiaro, no?

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