Dei pensieri e delle procedure di Noam Chomsky, Apollonio condivide poco, come sanno bene (se non fino alla noia) i suoi cinque lettori. E deve essere anche trasparso, qui e là in questo diario, che nemmeno umanamente (per ciò che ne può dire a partire dalla figura pubblica) Chomsky gli va a genio.
Con Chomsky, Apollonio convive tuttavia da sempre, nella sua presente vicenda mondana. Chomsky fa parte del suo stabile panorama. Lo ha trovato lì, quando si è affacciato per la prima volta sulla sua disciplina e vi ha poi preso il suo strapuntino, e lo vede oggi scorrazzare, da vecchio, un po' in ogni luogo, anche se meno, appunto, nella sua disciplina. Come fa, Apollonio, a non essergli allora un po' affezionato? Forse, più di un po': del resto, è un sentimentale.
Ora capita che nel giro di pochi giorni giungano ad Apollonio due segni che riguardano Chomsky. Due segni che mettono Apollonio nello stato, appunto, sentimentale di prodursi in qualche interiore, amara riflessione.
Primo segno. "La televisione è stata una delle forze che hanno operato per indurre gli italiani [sic!], volenti o nolenti, a condividere almeno una lingua comune, proprio perché molti non avevano questa lingua comune, considerata la prevalenza dei dialetti parlati dagli anziani. È una cosa positiva? È una cosa negativa? Dipende da quale considerazione uno ha di questa entità Stato-nazione. C'è del positivo e del negativo: di certo, la televisione ha svolto il suo ruolo in questo processo".
Non è un reperto da Quelli della notte, gustoso programma televisivo degli anni Ottanta. Non è la fantasiosa composizione di ciò che, in quella sede, avrebbero potuto dire i compianti Riccardo Pazzaglia e Massimo Catalano, che, caso mai, l'avrebbero appunto detto con ironia.
Pare invece sia una performance, per nulla ironica, anche se marginale, che Chomsky ha offerto al pubblico accorso a Roma per sentirlo, pochi mesi fa, nel corso di uno degli ormai periodici Festival delle Scienze. Ne rende graziosa testimonianza una recente pubblicazione scientifica, che se ne serve verbatim come epigrafe, certamente per il gusto di appellarsi, con spiritosa antifrasi, al parere di un manifesto incompetente.
In quel contesto spettacolare, l'uscita c'è da supporre sia stata infatti sollecitata a Chomsky da qualcuno che certo gli vuol bene molto meno di quanto gliene abbia mai voluto, poniamo, un Apollonio. Ha indotto infatti il vecchio linguista a esporsi, con una grossolanità piena di ovvietà, sopra un tema di linguistica sul quale egli può vantare poche conoscenze, com'è del resto lampante. Né basta ovviamente essere Chomsky perché ogni accento sia creativamente intelligente e meritevole dell'enfasi della memoria.
In quel contesto spettacolare, l'uscita c'è da supporre sia stata infatti sollecitata a Chomsky da qualcuno che certo gli vuol bene molto meno di quanto gliene abbia mai voluto, poniamo, un Apollonio. Ha indotto infatti il vecchio linguista a esporsi, con una grossolanità piena di ovvietà, sopra un tema di linguistica sul quale egli può vantare poche conoscenze, com'è del resto lampante. Né basta ovviamente essere Chomsky perché ogni accento sia creativamente intelligente e meritevole dell'enfasi della memoria.
Secondo segno. Il rombo dell'effimero chiacchiericcio si è propagato fino alla lontana Citera di Apollonio: pare ci sia stata un'epifania del nome di Chomsky nelle prove nazionali per l'accesso alle facoltà universitarie di Medicina e Chirurgia: in tali prove, il linguista americano ha avuto l'onore non solo di una menzione ma di fare oggetto di un'interrogazione, nella sezione di cultura generale.
Indizio dello sfondamento, da parte della linguistica e con il suo massimo campione, del muro degli specialismi? O indizio della (si dica così) acuta sensibilità, tra coloro che preparano tali prove, all'aria che tira nei piani alti del relativo Ministero? Che si faccia comparire un linguista anche lì male non farà, avranno magari pensato. E chi se non il linguista per antonomasia?
Comunque sia andata, gli esiti dell'epifania, nella rete, sono appunto di tale tenore: "Noam Chomsky, in effetti, è uno dei più rispettati ed autorevoli studiosi di linguistica a livello mondiale: viene ritenuto... lo scienziato che più ha spiegato i meccanismi del linguaggio umano negli ultimi anni. La sua opera principale... illustra la sua teoria più celebre: sostanzialmente Chomsky ritiene, e spiega, che il linguaggio sia una dote innata dell'uomo, che può combinare tutte le parole che conosce per creare infinite frasi nella sicurezza che chi comprende la sua lingua capirà la frase anche se non l'ha mai sentita prima... Per le scienze linguistiche questa intuizione di Chomsky è stata una vera e propria rivoluzione, perché c'erano varie teorie, ma nessuna certezza su come 'gli uomini acquisissero l'abilità di linguaggio, sia nel momento interpretativo, sia in quello produttivo'; la grammatica e le regole di base del linguaggio rimangono, ma la mente dell'uomo è creativa, parte da queste e inventa costantemente nuovo linguaggio e nuove strutture". Qui, la pagina nella sua interezza ed esemplarità: del resto, non diverse, nella sostanza, le notizie apparse anche in sedi più autorevoli e nelle reti sociali.
Riderne? Certo. In passi del genere si vede però benissimo il seme di ciò che Chomsky ha voluto e ancora insiste rimanga di sé. "Linguaggio", "infinito", "grammatica", "innato", "creativo", "spiegare", "mai sentita prima", "teoria", "mente", "intuizione", "rivoluzione": tutte parole e espressioni chomskiane. L'automa va, insomma. Combinate, rispettando creativamente le regole, parole del genere non faranno sempre un perfetto discorso chomskiano?
A essere cattivi, si potrebbe insomma dire che Chomsky abbia oggi proprio ciò che si merita. E peraltro il merito che si è guadagnato rispetto a se medesimo, in proposito, è ancora maggiore, se gli capita, da vecchio e ormai come un feticcio, di farsi portare in giro a raccontare, con leggerezza, non solo le storie sulle quali fantasticò nella sua giovanile incoscienza, ma (come pare) anche storie di cui sa poco o nulla. Per incoscienza, stavolta, senile?
A essere cattivi, si potrebbe insomma dire che Chomsky abbia oggi proprio ciò che si merita. E peraltro il merito che si è guadagnato rispetto a se medesimo, in proposito, è ancora maggiore, se gli capita, da vecchio e ormai come un feticcio, di farsi portare in giro a raccontare, con leggerezza, non solo le storie sulle quali fantasticò nella sua giovanile incoscienza, ma (come pare) anche storie di cui sa poco o nulla. Per incoscienza, stavolta, senile?
Apollonio l'ha confessato in esordio: nutre affetto per Chomsky. Distante, ma affetto. Chomsky, si augura così con affetto Apollonio, accompagnerà la linguistica ancora per molti anni. Qualcosa rende però amari i suoi pensieri e i segni che vede, tra le evocazioni in rete e per epigrafe, sono in proposito eloquenti. Ne è addolorato, Apollonio, perché un po', forse più di un po', a Chomsky, gli vuol bene. È ormai evidente, però. Quando Chomsky se ne andrà, varranno tristemente ed esemplarmente anche per lui, come autentico epitaffio, le antiche parole del feroce e veritiero Charles-Augustin Sainte-Beuve: "Le persone celebri, per la maggior parte, muoiono in un vero e proprio stato di prostituzione".
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