12 aprile 2014

Linguistica da strapazzo (26): Linguistica, pardon! Pubblicità comparativa


Le risorse c'erano tutte, nella lingua: l'indeterminazione categoriale e funzionale della forma e la disposizione all'agglutinazione della manifestazione della persona (del resto, così già aveva detto delle origini della famiglia, or sono due secoli, Franz Bopp). Ecco come da un nome o da un verbo comune è venuto fuori un nome proprio, con l'incorporazione del soggetto squisitamente personale dell'enunciazione. I rapporti grafici tra maiuscola e minuscola vi sono graziosamente invertiti: un modo per dare eleganza alla trouvaille (l'ego è, come si sa, per sua natura orientato alla volgarità) ma anche un modo per mettere in chiaro a quale gerarchia obbedisce la combinazione morfologica. Ed ecco, per via di tale battesimo, come la designazione di un oggetto comune è passata dalla banalità del dizionario alla salienza dell'enciclopedia: da comune luogo comune a luogo comune proprio, agente, peraltro, di quella epidemia di prima persona (o di suoi feticci) cui si riferiva un frustolo di qualche giorno fa. Il gioco è mascherato ma in modo da essere riconoscibilissimo: come deve essere il gioco della seduzione, che è alternanza di vedi e non vedi, di credi e non credi. 
C'è adesso qualcuno che, come fa appunto di norma un outsider costretto a rincorrere, tenta di togliere al gioco il fascino del velo:


Con esplicita durezza, rimette così le cose nel loro modo consueto, ciò che va maiuscolo al maiuscolo e al minuscolo ciò che va minuscolo. Toglie dall'ambiguità le forme e le attribuisce a canoniche categorie. Prova insomma a cambiare: dalla sintesi (poetica) di noccioli nominali, all'analisi (prosastica) di nessi proposizionali, disagglutinando, scorporando, atteggiandosi alla chiarezza d'una sintassi elementare.
Minuzie. E minuzie interessate, bottegaie: la pubblicità è fatta per vendere. I processi che qui mette in atto (consapevoli o inconsapevoli, cosa importa?) non sono dissimili però da quelli, grandiosi, di vicende diacroniche delle lingue sulle quali gettare uno sguardo diacronico è possibile. E, con quello diacronico, anche uno sguardo comparativo, come l'outsider vuole appunto si azzardi, per sfida, passando dalla numinosità totemica e verticale del nome alla quotidiana esperienza (quanto veritiera?) di un oggetto orizzontale, ma non, ovviamente, terra terra.

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