La "Parte quinta" del Gattopardo non se l'è mai filata nessuno - qui Apollonio forse l'ha già scritto. Altrove, anche in rete, certamente l'ha fatto, e con futili pretesti, il suo alter ego.
Sarà perché nella "Parte quinta" non circola Don Fabrizio. E nessun'altra delle belle figure di facciata, Tancredi e Angelica, soprattutto, che gli fanno da corte nel romanzo. Vi viene invece in primo piano quel padre Pirrone, il gesuita etimologicamente parassita, che non ha mai acceso la fantasia di critici e lettori.
Sarà perché alla "Parte quinta" non fa da sfondo la Palermo delle ville, dei conventi e dei palazzi, né l'arsa e mitica Donnafugata, che i notabili di molti borghi siciliani giurano ispirata allo scrittore dalla loro ridente cittadina (sempre con larghezza di prove e, pretende ciascuno, innegabili coincidenze). Tutto si svolge invece nell'oscura "S. Cono, un paese piccino piccino", la cui realtà, grazie al Cielo, nessuno rivendica.
Sarà perché, delle otto che compongono l'opera, la "Parte quinta" (chissà se qualcuno l'ha mai notato) è l'unica che si svolge in inverno: "Febbraio 1861". E in un'epoca di scritture e di letture irrimediabilmente piccolo-borghesi (esattamente come le complementari vacanze), d'inverno, in Sicilia, si dica la verità, che ci si va mai a fare?
Per questo, la "Parte quinta" del Gattopardo (che Apollonio, da vecchio "strutturalista", si guarda bene dal dire che è la migliore o la più importante dell'opera: la relazione, la relazione è ciò che conta e che dà valore al sistema e ai dettagli!), per questo, si diceva, la "Parte quinta" è così divertente da percorrere, andando distesamente a spasso, come in un'oasi naturale protetta non da volontà umana ma dalla sua miracolosa (e ricercata?) irrilevanza.
Andarci a spasso sicuri di non incontrare nessuno, se non, nella parola del narratore, padre Pirrone, la sua famiglia e qualche altro abitante di S. Cono, godendo inoltre di scorci, annusando gli odori, udendo voci e rumori.
Andarci a spasso sicuri di non incontrare nessuno, se non, nella parola del narratore, padre Pirrone, la sua famiglia e qualche altro abitante di S. Cono, godendo inoltre di scorci, annusando gli odori, udendo voci e rumori.
Ecco, solo questo. Questo frustolo compita allora "in una soleggiata Domenica di febbraio sonora di venti che sfogliavano i fiori dei mandorli". E lo fa forse solo per nostalgia di un febbraio vissuto in una S. Cono che è un luogo precisissimo dello spirito e, come tale, indeterminabile e irrivendicabile.
[A beneficio e per soddisfazione degli eruditi: San Cono è il santo patrono di Naso, cospicuo comune dei Nebrodi, affacciato sopra uno splendido panorama del Tirreno meridionale, che si raggiunge, rimontando la bella Strada Statale 116, dalla - ormai, purtroppo, degradata - Capo d'Orlando dei Piccolo di Calanovella: il fondamento biografico è quindi assicurato.]
[A beneficio e per soddisfazione degli eruditi: San Cono è il santo patrono di Naso, cospicuo comune dei Nebrodi, affacciato sopra uno splendido panorama del Tirreno meridionale, che si raggiunge, rimontando la bella Strada Statale 116, dalla - ormai, purtroppo, degradata - Capo d'Orlando dei Piccolo di Calanovella: il fondamento biografico è quindi assicurato.]
Che non sappia l'alter ego d'Apollonio del 'vecchio strutturalista', potrebbe venirgli in zucca di porre o quanto meno proporre qualche limite all'ironia persino.
RispondiEliminaDice, accorto Lettore? Apollonio proverà allora a tenerlo all'oscuro. Del resto, ci son prove a iosa che non si tratta d'una volpe. Ed è già troppo occupato coi suoi limiti, perché la sua zucca pensi di proporne per qualcosa o per qualcuno.
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