Il fatto è esecrabile.
Il sistema economico dell'intrattenimento di masse di sfaccendati ha tuttavia un fondamentale pretesto: tenerli informati. Tenerli sfaccendati, cioè, ma senza un attimo spiritualmente libero.
Esso vive allora di partite di pallone: qualcuna ha il gran merito d'essere divertente. Vive però (e forse di più) anche di ciò che accade intorno alle partite di pallone e quasi mai è divertente. Naturalmente, ciò che non è divertente si vende molto meglio di ciò che lo è. E poi, d'una partita di pallone, difficile si parli ancora il giorno dopo. Un fatto esecrabile è invece una piccola rendita. C'è materia per allargarsi: costume, politica, morale e altra varia umanità.
Nel fatto esecrabile, come s'è largamente visto, il sistema dell'intrattenimento di masse di sfaccendati ci ha allora inzuppato il suo pane. E pare deciso a insistere per un po'. Finché rende, perché no?
Chissà quanto inzupparci il pane sia attitudine responsabile, però. Si vivono tempi stupidini. Godere d'un quarto d'ora di notorietà per una propria impresa è quanto desidera tradizionalmente il vandalo da museo. Con un botto mediatico del genere, legato inoltre a un evento sportivo, probabile la pulsione si insinui al di là della cerchia ristretta dei frequentatori di istituzioni culturali e ispiri atti comparabili a habitués, peraltro più ingenui, di curve Sud. Sarebbe un guaio, ma non per il sistema economico dell'intrattenimento di masse di sfaccendati, che avrebbe modo di inzupparci nuovamente il suo pane.
Questi però son discorsi seri (e, tratti fino in fondo, portano a riflessioni serissime). Apollonio se ne ritrae immediatamente e chiede scusa ai suoi cinque lettori: non è roba per lui; per trattarne, bisogna avere la taglia appropriata; a scriverne, lui, rischia di farci la fine della rana della celebre storiella di Fedro. Insomma, serve senso della misura.
Il fatto è esecrabile, allora; il sistema economico dell'intrattenimento di masse di sfaccendati ne ha fatto occasione d'una sua bella e redditizia produzione; ciò che qui preme sono però tipiche questioni da linguista da strapazzo. Di taglia (e di taglio) del resto si tratta.
Tanti anni fa, ricorda Apollonio, una cara amica lo divertiva, istruendolo: L'esercito svizzero ha invaso il Canada, osservava (l'esempio non era in italiano, ma la faccenda è irrilevante), sarebbe descrizione ineccepibile del relativo evento anche nel caso in cui le bandiere rossocrociate avessero appena varcato l'immaginario confine tra i due stati. E, quindi, del Canada, la parte effettivamente invasa potesse dirsi se non irrisoria, certo non preponderante.
In questi giorni, la cronaca permetterebbe di trovare esempi meno irrealistici: proporre un esperimento linguistico di pensiero ha tuttavia come buona norma che si evitino le interferenze e i temi caldi non sono in proposito i più acconci: donde una qualche insipidezza della lingua che circola negli studi grammaticali (e non, come pensano i maligni, perché i linguisti hanno poco cervello e ancor meno fantasia).
Sul tema di questo "tutto" per "la parte", del resto, l'amica di Apollonio scrisse poi con acume, determinando anche un amico comune, e altrettanto caro, a farlo dietro il suo indirizzo.
Come sempre quando si tratta di lingua (e se ne tratta bene), l'esperienza è disponibile a chiunque e senza bisogno di ricorrere a temi bellici.
L'espressione Migliaccio tocca duramente Pirlo, si ponga, sarà certamente capitato d'udirla (e di trovarla perfetta) quando i tacchetti dello scarpino del giocatore dell'Atalanta hanno aderito con una certa rudezza alla caviglia (e solo alla caviglia, destra o sinistra) dello juventino.
E, un tempo a un adolescente bastava aver posto la sua mano sulla mano o, ancor di più, sul ginocchio d'una Maria per vederlo ritirarsi in estasi: Maria... t'ho toccata...
Ecco. Tutto lì, e si lascino pure da parte le parolone adoperate nel titolo di questo frustolo, per dargli un tono: sineddoche e pertinenza.
Tuttò lì, però: sineddoche e pertinenza. E l'importante è averne un po' di consapevolezza. È, per accidentale campione, la naturale retorica della lingua, se retorica la si vuole ancora chiamare. Questa vecchia designazione, come grammatica, si porta dietro infatti tante di quelle inestirpabili implicazioni che l'uso naturale ne risulta forse impossibile.
Con qualsiasi nome la si chiami, per chi vuole stare sveglio e autenticamente sfaccendato, averne consapevolezza è tuttavia indispensabile, perché ogni giorno, più volte al giorno, può capitare di incontrare cose come "Jan, l'imprenditore ultrà del Feyenoord che ha devastato Roma", sapendo perfettamente di qual genere d'atto esecrabile si sta parlando ma, aderendo visceralmente chissà come, chissà perché, alla sua adeguata (ci mancherebbe, perfettamente adeguata) messa in scena linguistica e perdendo così una cosa preziosissima e irrecuperabile, a lungo andare: il senso della misura.
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