Tra le cose che si fanno, ci sono le utili e le inutili. Ci sono poi quelle per le quali, semplicemente, l'alternativa non è pertinente e non ha senso chiedersi se, facendole, si fa qualcosa di utile o di inutile. Riconoscere come ci sia qualcosa che trascende e delimita l'area di applicazione dell'opposizione tra utile e inutile è tanto fecondo, quanto è perniciosa l'idea di una sua riduzione al modulo che mette corrivamente in contrasto l'utile e l'inutile. Ciò che non è né utile né inutile non è infatti quel banalmente inutile (come sovente si opina) di cui una superiore scaltrezza riconosce a conti fatti l'utilità. Pensare peraltro che sia questo il modo argomentativo per redimere ciò che non è utile né inutile agli occhi di un mondo capace di pensare solo nei termini di utile e di inutile è la via più certa per decretarne l'incomprensione. A quel mondo va invece detto (e con chiarezza) che, nell'esperienza umana, c'è appunto ciò che non è né utile né inutile, richiamandolo così alla consapevolezza di un limite. Tale limite istituisce precisamente la differenza da cui emerge, per via negativa, l'àmbito in cui vige l'opposizione tra utile e inutile. L'àmbito siffatto è piuttosto ristretto, a dire il vero, e a rimanerci rinchiusi, non solo il pensiero ma anche l'azione rischiano l'asfissia. Del resto e conclusivamente, senza una relazione gerarchicamente ordinata con ciò che appunto non è né utile né inutile, l'opposizione medesima tra utile e inutile mancherebbe, a ben vedere, di ogni valore.
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