Quella che occhieggia sotto tale nome nelle parole di Ferdinand de Saussure e che, opportunamente, bisogna continuare a chiamare semiologia e non semiotica, non è un'ermeneutica, né teorica né pratica. "Nous la nommerons sémiologie [...]. Elle nous apprendrait en quoi consistent les signes, quelles lois les régissent. Puisqu'elle n'existe pas encore, on ne peut dire ce qu'elle sera; mais elle a droit à l'existence, sa place est déterminée d'avance", si legge nel Cours.
La semiologia avrebbe dovuto essere, e non è stata, il quadro concettuale in cui inscrivere una concezione della funzione segnica, come rapporto, inaudita fino a quel momento (e, nel séguito, negletta, quando non rifiutata, anche dai linguisti). E sul suo fondamento, si sarebbe dovuta proiettare tale concezione, senza snaturarla e mantenendone la radicale severità differenziale, al di là del limite sperimentale della lingua. Questo è peraltro il dominio in cui la funzione segnica emerge in tutta la sua specificità, grazie a esperimenti che le buone, forse le migliori condizioni di osservazione rendono facili ed esemplari.
Invece, le semiotiche che hanno prosperato e che si sono brevemente imposte sulla scena delle discipline umanistiche nella seconda metà del Novecento sono in genere ermeneutiche, più o meno tradizionali. Ciò a prescindere dal fatto che si siano richiamate, di norma surrettiziamente, al pensiero di Saussure o che non lo abbiano fatto, trovando altrove (e pour cause) il loro fondamento. Non stupisce, di conseguenza, il vederle già da qualche tempo avviate verso un rapido riassorbimento nelle rispettive case madri, filosofiche, per la maggior parte, per la minore, filologiche.
Nessun commento:
Posta un commento