Il post in una rete sociale dell'Accademia della Crusca parzialmente ripreso nell'immagine e raggiungibile qui ha almeno due aspetti per risultare interessante a chi è curioso dei fatti della lingua.
Uno è banale e solo apparentemente piccante. Al fondo e a caratteri cubitali, il post porta una scritta, "ORA IN PREORDER", che ha scatenato ironie, ire, sdegni, anatemi da parte dell'orda, sempre vigile e inquieta, dei difensori della lingua nazionale: in proposito, una montagna di commenti che cruscheggiano contro la Crusca e, conseguentemente, l'osservazione che, per quanto uno si atteggi a cruscante, incontrerà sempre qualcuno più cruscante di lui (osservazione che vale, come si sa, per quasi tutti gli aspetti morali della vita umana e che, specificamente, è stata ampiamente verificata, nel Moderno, da molte, se non da tutte le azioni o reazioni politiche).
Nemmeno un commento, se Apollonio non sbaglia, ha invece suscitato l'altro interessante dettaglio espressivo del post, certo più sottile e non corrivamente lessicale (ma si sa, consapevoli che la lingua non sia fatta solo di parole e ancora meno di regole e parole si è fortunatamente in pochissimi). Ad Apollonio, vizioso di lingua per un otium ormai totale, quel dettaglio pare invece un dato sensazionale. Può darsi che si tratti solo di una svista, ma qui si corre deliberatamente il rischio di prenderla sul serio. Del resto, dai tempi del dottor Freud, se non si prendono sul serio le sviste, da prendere sul serio non resta veramente quasi nulla.
Recita allora il post in apertura: "Il nuovo libro di Crusca edito da Mondadori!", Sì, proprio così: "di Crusca" scrive l'Accademia della Crusca nella réclame che fa a se stessa. C'è chi penserà a questo punto immediatamente: "Sarà effetto della concisione imposta dal medium e dal tipo di comunicazione".
Nell'interrogarsi sui fatti di lingua, un funzionalismo molto alla buona, epifania concettuale di uno spirito fondamentalmente bottegaio, fa in effetti sempre da panacea. Quando osserva qualcosa, "A che serve?" è la domanda-emblema di tale attitudine etica, prima ancora che teoretica. È domanda alla quale non è mai difficile trovare una risposta. Trovatala, ogni spirito si acquieta (o si agita di conseguenza, ma non quanto all'interrogazione di base, divenuta un pretesto). Se dunque "la Crusca" si trasforma in "Crusca" è per far presto e non prendere troppo spazio... Del resto, l'articolo, in quel post, a che servirebbe? Ecco appunto.
Mani avanti. Chi la pensa così ed è contento o contenta della risposta può tranquillamente smettere di leggere questo futilissimo e faticoso frustolo o, caso mai, di commentarlo. Qui, di un fatto, ci si chiede anzitutto il come e solo secondariamente, molto secondariamente si prova a immaginare il perché, in un ordine inoltre che privilegia la causa sul fine, facendone netta distinzione. E che rifugge di conseguenza dalla prestidigitazione di fare collassare la prima nel secondo. "Causa finale" l'hanno chiamata i filosofi e Voltaire, in una sua pagina divertente, l'ha messa alla berlina: "...lo stomaco per digerire... gli occhi per vedere... i bachi da seta in Cina, per avere la seta in Europa...".
Bando però a simili astruserie epistemologiche (che parolona!). Peraltro, la concisione le banalizza e se stanno funestando questa sortita, la colpa è dell'alter ego di Apollonio, con i suoi suggerimenti, e del suo terrore che Apollonio, nel suo sparuto diario, non sia chiaro e provochi equivoci: l'effetto, come si vede, è paradosso. Ma convincerlo!
Si venga dunque al sodo, sempre che a fatti di lingua tanto impalpabili si possa attribuire una qualificazione siffatta.
Il sodo è che l'Accademia della Crusca vale, da secoli, come nome proprio e, come fanno spesso i nomi propri, nei secoli ha prodotto anche un suo singolare ipocoristico, se così si vuole dire: la Crusca. Ci si intenda, qui si mira al valore correlativo, nei discorsi, più che alla forma, e inoltre ipocoristico corrisponde etimologicamente a 'vezzeggiativo'.
Ma come capita talvolta a simili scorciamenti, l'intento, ammesso ci sia, sfuma e la Crusca e i suoi derivati (un paio hanno già fatto capolino in questo frustolo: altri se ne trovano qui) hanno preso i sensi e i valori procurati dai discorsi e dai tempi in cui sono incorsi e ricorsi. Testimone all'uopo, il Grande Dizionario della Lingua Italiana promosso da Salvatore Battaglia.
I tempi, appunto, e i discorsi: in relazione con l'articolo mancante, sono il tema specifico di questo frustolo. In effetti, da qualche decennio, la Crusca è inopinatamente venuta in una sua auge singolare.
Non si scrive tornata, perché il suo attuale successo non è né qualitativamente né quantitativamente comparabile con quello, sempre contrastatissimo e fomentatore di polemiche, che ebbe in altri momenti della sua storia secolare: trattava roba (la lingua, e specialmente il lessico) che interessava solo una ristrettissima e permalosissima cerchia di dotti e letterati; oggi, fatta salva la caratteristica di permalosità, non è più così. Lo dice la robusta presenza dell'Accademia nelle reti sociali: su Facebook, si è quasi in cinquecentomila a prestarle attenzione. Oltre che di santi e di navigatori, l'Italia è sì paese di poeti (e di poete, oggi conviene dire), ma forse non si è ancora giunti a tale numero. Ci si sta insomma lavorando...
Si scrive invece "inopinatamente" perché nessuno, accademico o no che fosse, avrebbe potuto sognare un séguito tanto vasto, non solo ai tempi in cui era presidente dell'Accademia Bruno Migliorini (sono trascorsi solo settant'anni), ma nemmeno fino al crollo del Muro di Berlino.
Poi, il mondo è molto cambiato, eticamente, oltre che materialmente, com'è ridondante ricordare. E, parrà strano, ma non lo è, il successivo crescente successo di un istituto culturale come l'Accademia della Crusca può essere considerato, in Italia, un effetto (nemmeno troppo mediato) di tale mutamento morale. Bisogna però che qui si metta da parte questo aspetto della faccenda, rimandandolo eventualmente a un'altra volta, per tornare, appunto futilmente, alla scomparsa dell'articolo.
Ebbene, il nome proprio di qualcuno o di qualcosa il cui bacino di interesse raggiunge la cifra cui sopra si è alluso, nella società dei consumi di massa, soprattutto in quella più modesta del cosiddetto consumo culturale, è ipso facto un marchio o, come si dice con terminologia internazionale, un brand. Qualunque cosa sia l'oggetto designato e qualsivoglia intento abbia chi ne parla (come del resto qui si sta facendo), l'Accademia della Crusca e la Crusca, come scorciamento, sono le forme con cui il marchio appunto si presenta nei discorsi del tempo presente.
Come forme di un brand, esse entrano pertanto nelle tipiche derive. E qui, per capire una di queste derive, un esempio verrà utile, soprattutto perché tratto dal medesimo àmbito di produzione, lo si dica pure, culturale.
Nel corrente discorso, la Mondadori del vecchio Arnoldo (M.), la Rizzoli del grande Angelo (R.), la Bompiani del raffinato Valentino (B.) non esistono più. Chiunque detenga le relative proprietà, esistono i marchi Mondadori, Rizzoli, Bompiani, tutti senza articolo, si osservi. Tornati, insomma, anche nelle forme, meri nomi propri, ovviamente senza essere più antroponimi. Exempla ficta: "In futuro, Apollonio pubblicherà con Rizzoli...", "Mondadori, quest'anno, ipoteca lo Strega...", "A Bompiani non fa difetto il coraggio...".
La ragione è trasparente. Prima, il nome (e il relativo marchio) era riduzione (per ridondanza) di quello che si dà a un opificio: "la [casa editrice] Mondadori", "la [casa editrice] Bompiani" e così via. Luoghi, attrezzature, persone che producevano libri. Oggi l'opificio è, ben che vada, provvisoria proiezione di un'impresa finanziaria e, nei discorsi, Mondadori, Rizzoli, Bompiani e così via sono meri brands, da vendere, da comprare, da esibire, caso mai da esecrare, come tali.
Dal discorso in generale, al discorso in particolare: "Il nuovo libro di Crusca edito da Mondadori!", recita il post della gloriosa Accademia. Poverina, dalla Villa Medicea di Castello, cos'altro avrebbe potuto scrivere? Si fosse presentata ancora con l'articolo ("della Crusca"), a diretto contatto nel medesimo enunciato con il brand Mondadori, implicitamente presentato quest'ultimo come valorizzante, avrebbe fatto figura di vecchia e pezzente.
Via l'articolo, allora: Crusca. Simile in ciò ai brands di prestigio del Made in Italy, che del resto sono spesso, in origine, autentici nomi propri: Ferrari, Maserati e Armani, Prada, Dolce & Gabbana, Versace...
Ecco allora come fu che la Crusca perse il suo articolo... Fu atto di nobilitazione onomastica e di adeguamento al mondo.
Ma puff! Che fatica, per un la. Si fa prima a sbraitare contro le parole che non piacciono: "Che orrore!", "Sanguinano le orecchie!"... Ancora solo un paio di parole, allora, sempre che i due lettori di Apollonio siano rimasti fin qui a fargli compagnia.
Da anziano filologo, scapestrato, ma non fino al punto da negare il suo alternante attaccamento al nobile istituto e la sua permanente amicizia verso le colonne che, in tempi non facili come i presenti, lo reggono, Apollonio augura finalmente a Crusca di aprire presto e correlativamente uno show room in via della Spiga. E spera, con Crusca, che la folla dei suoi seguaci super-cruscanti, visto che di show room si tratta, non venga a rompere, oltre al resto, anche le vetrine.