Non piove da tempo, sulla maggiore isola del Mediterraneo e la siccità sta diventando una faccenda socialmente seria, anche per via di qualche imprevidenza e dell'uso di abborracciare, ivi consolidato (se ne dirà, eventualmente, in altro frustolo: gattopardesco).
Non sarà tuttavia la prima volta che una siccità capita nella lunga vicenda del locale insediamento umano. Il Cielo guardi però Apollonio dall'argomentare sul tema, divenuto scabrosissimo. Non ne ha del resto le competenze.
Quanto alla prospettiva linguistica e per servirsi di un'utile classificazione proposta da Roman Jakobson, un tempo, parlare del tempo era manifestazione di mera funzione fàtica: chiacchiere in ascensore. Da qualche tempo, come si sa, parlando del tempo (che ora appunto va sotto il nome di clima), non si è passati a manifestare tanto la funzione referenziale (anche se così si pretende), quanto l'emotiva e la conativa: ambedue delicatissime. Quando si incappa nella prima, guai infatti a toccare io che si pretende noi: siamo in pericolo... come faremo? E la seconda, se giganteggia nel discorso pubblico, è tremendamente inquietante. Lo intuì Orwell, ma anche altri prima di lui: fai così... non fare così... comportati bene... guai a te... ecc. O, si badi bene, il contrario: fai come vuoi... fregatene... ma chi se ne importa...
Quindi, sul clima o, meglio, sul tempo, Apollonio non ha nulla da dire, da persona tranquilla e aliena da qualsiasi polemica.
Quando Apollonio parla del tempo, ogni sua sortita va allora intesa in prospettiva diacronica. Attenzione: diacronica e non storica. Anche lì, pur se in modi diversi, ci vuole poco a urtare suscettibilità. Gli storici o i loro cani da guardia mozzicano i pitocchi come Apollonio se si azzardano ad andare a spasso per le contrade di loro competenza.
La diacronia, grazie al Cielo, non riscuote invece interesse. Meglio: per gli storici, non esiste. Esula infatti dal principio secondo il quale verum et factum convertuntur. La diacronia è quella terra di nessuno, quell'isola che non c'è, in cui non solo i fatti, ma anche i non-fatti (per quanto in proposito si può prospettare) valgono in funzione di qualche ipotetico sistema. E il non-fatto sul quale, col presente frustolo, si intende richiamare l'attenzione è, in diacronia, ipoteticamente comparativo.
Fosse capitata in Sicilia in quella varietà di non-presente che, in diacronia, va definita passato, la siccità (chissà quante volte ci sarà stata) avrebbe riempito di preghiere le chiese o di sacrifici i comparabili più antichi luoghi di culto. Con o senza esito felice, non è qui (né a dire il vero altrove) questione.
Non c'è consorzio umano che non abbia i suoi (irragionevoli) riti e che non pratichi le sue (irragionevoli) fedi. Anche la fede di non averne più nessuna, quando invece se ne hanno miriadi. Se una fede non fosse irragionevole, d'altra parte, che fede sarebbe?
Ma in quei lontani sistemi, messa a fattore la faccenda della fede, quanto alla comunicazione, si sapeva a chi rivolgersi se non pioveva o se lo faceva troppo. Bisognava al massimo solo avere cura di non fare troppo sembiante di fargliene una colpa... Sarà certo colpa nostra, ma vedi un po' di lasciar correre... Sai come siam fatti.
Oggi, in una società ormai lontana erede ma erede, va detto, del famigerato (Non) piove, governo ladro!, non si sa letteralmente a che santo votarsi. Fuori di un'usualmente ribadita richiesta di sussidi (Se non piove acqua, piovano almeno quattrini...: ci si faccia caso), non c'è più un tu, una seconda persona con cui interloquire.
Nei termini di una tipologia dei testi, è insomma arso il terreno sopra il quale un dì fiorivano le preghiere (e le bestemmie autentiche). Con la siccità, crescono solo asfittici e psicotici anatemi, vane e contorte auto-maledizioni.
In termini di diatesi, tutto è infatti dolorosamente riflessivo o polemicamente reciproco. Soprattutto l'attribuzione della colpa. Anche quando è rivolta ad altri, gli altri sono allo specchio: in realtà è rabbia solipsista.
Non si vuole né si può dare postuma ragione a Joseph de Maistre, ma c'è in ogni caso da dubitare che, nella sofferenza materiale eventualmente imposta dalla siccità, si tratti, in un'umana diacronia, di una condizione morale migliore.
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