"DIPASQUALE: Allora Andrea, noi ci siamo conosciuti, anzi io ho conosciuto te, nel 1985, in Accademia dove venivo a fare l'esame da allievo regista e tu eri docente di Regia e stavi in commissione d'esame. Anzi stavi dietro la commissione, perché non amavi stare nel tavolo insieme agli altri...
CAMILLERI: No, ero in seconda fila...
...E mi fregasti con una domanda... non so se te lo ricordi...
No...
La domanda era, dopo un esame tenuto con la commissione di circa un'ora e mezza, sul corso di linguistica generale di Saussure. Non mi hai fatto una domanda generica, ma una domanda relativa ad una nota in appendice, che noi sappiamo essere importante in Saussure. Una nota particolare nell'appendice del testo editato dagli allievi... Albert Sechehaye e Charles Bally, e volevi sapere se io la conoscessi o meno. Mi andò di fortuna perché l'avevo letta, altrimenti forse oggi non sarei qui con te.
Vedi, questa era una mia tecnica, ovvero quella di lasciare parlare molto. Se lasciavo parlare molto, voleva dire che la cosa che veniva detta mi interessava, magari non la condividevo, ma mi interessava l'intelligenza di ciò che veniva detto. E allora alla fine, cosa che i miei allievi ignoravano, la domanda carogna era come una conferma a un giudizio positivo: cioè vedere in che modo uno se la cavava. Ammetterai che una domanda così è una domanda carogna!
Abbastanza, infatti mi sentii perso!
Bastava che tu mi dicessi: nel mio libro non c'è... e io non ti avrei squalificato..."
È un passaggio, dalla pagina 36 alla pagina 38, di Il teatro certamente. Dialogo con Giuseppe Dipasquale, volumetto che l'editore Sellerio, pubblicandolo, ha attribuito come postumo ad Andrea Camilleri, ora è un anno. A concepirlo e a comporlo, più che a procurarne una semplice cura, è stato in effetti Giuseppe Dipasquale, che di Camilleri fu allievo all'Accademia nazionale d'arte drammatica, come lascia intendere il passo.
Il libro contiene conversazioni tra lo scrittore di Porto Empedocle e il suo più giovane sodale ricostruite sul fondamento di registrazioni che, da un certo momento in avanti, il secondo, ospite consueto di casa Camilleri, aveva ritenuto di fare di loro chiacchierate private. Una pensata lungimirante: "Un giorno proposi ad Andrea di registrare le nostre conversazioni. Lui acconsentì volentieri", narra Dipasquale quasi sul principio della sua premessa al libro.
La premessa reca inoltre un'anticipazione dell'aneddoto appena riferito, che aggiunge alle battute della conversazione un dettaglio non trascurabile. Precisa infatti sopra cosa verteva la "domanda carogna" (così Camilleri, che - c'è bisogno di dirlo? - era un maestro nell'ammiccante riciclo di cliché espressivi). Scrive allora Dipasquale:
"L'episodio che racconto sempre [lo fece in effetti anche in una molto affollata presentazione palermitana del libro in cui un anno fa incappò Apollonio] e che in questa conversazione ricordo ad Andrea riguarda proprio un treno: fu in Accademia Silvio d'Amico che Camilleri dopo avermi fatto parlare per un'ora e mezza senza proferire parola, mi inchiodò su un'unica domanda. «Mi sa spiegare» mi disse sornione nella sua elegante e profumatissima figura dandomi del lei «l'esempio che Ferdinand de Saussure, nel Cours de linguistique générale, fa a proposito di un treno?». Basito, attonito, sperduto. Avevo ventidue anni, avevo letto Saussurre [sic] e l'esempio che chiedeva Andrea si trovava nelle note in appendice! Ebbi fortuna, lo ricordai e da lì iniziò la mia amicizia con questo meraviglioso e immenso uomo".
Galeotto del pluridecennale sodalizio tra Camilleri e Dipasquale fu dunque Saussure. Chi l'avrebbe mai detto? Il racconto li atteggia d'altra parte a fini lettori e profondi conoscitori delle pieghe più riposte del Cours de linguistique générale: "...una nota in appendice, che noi sappiamo essere importante in Saussure...", dice lo scolaro al compiaciuto e consenziente maestro, sollecitandone la connivenza, nel corso della conversazione.
In effetti, nel Cours, senza differenze tra la prima e la seconda edizione, si parla di treni:
"Ainsi nous parlons d'identité à propos de deux express «Genève-Paris 8 h. 45 du soir» qui partent à vingt-quatre heures d'intervalle. À nos yeux, c'est le même express, et pourtant probablement locomotive, wagons, personnel, tout est différent".
Sono però parole tratte dal cruciale terzo capitolo ("Identités, réalités, valeurs") della seconda parte ("Linguistique synchronique") dell'apocrifo saussuriano. Tratte, in sostanza, dal suo cuore concettuale. Non da una nota peregrina di una fantomatica appendice, voluta dai curatori: peraltro, il loro Cours non ne contiene.
Va detto inoltre che, dagli anni Sessanta del secolo scorso, per via della pubblicazione della traduzione italiana del Cours curata da Tullio De Mauro e da lui corredata, essa sì, da un imponente apparato di note, mimesi dell'esempio ferroviario rimbalzavano di frequente in scritti di divulgazione della linguistica detta strutturale, oltre che nella manualistica universitaria. Erano modi di illustrare con chiarezza analogica la necessità sperimentale di distinguere tra langue e parole. Lì, probabilmente, Dipasquale e son maître avevano orecchiato il bastevole per imbastire su due piedi la complice e istrionesca fanfaronata. E, alla prova, il maestro aveva così constatato degno di lui l'aspirante allievo: "...vedere in che modo uno se la cavava".
Bando però alle pedanterie. Qui servono a mettere in più chiara luce, per un migliore apprezzamento, la fabula e l'intreccio del minuscolo gag narrato da Dipasquale. Esso è costruito per intero intorno al topos (e alla maschera) del docente burbero e coltissimo, ma in fondo bonariamente umano, con la sua "domanda carogna". Non solo Saussure ("Saussurre" sarà certamente una coquille), già roba da iniziati, ma, per iperbole, Saussure all'immaginario culmine della sua misteriosa ed esoterica trasmissione. Sapiente per via di fortuna, il pivello esce tuttavia dal malo passo e se la cava... Happy end.
Tiatro, insomma. Meglio: eterna, italiana commedia dell'arte. Capitava spesso, quando Andrea Camilleri entrava teatralmente in scena, come fece nel corso di quell'esame. Non si ha il coraggio di scrivere che lo facesse sempre, nella sua vita pubblica, e che quindi capitava sempre. Non si può nascondere però che, sotto sotto, lo si pensa: un onesto "tragediaturi" in servizio permanente effettivo.
E bisogna allora essere grati a Dipasquale. Con il pretesto di uno pseudo-Saussure, la sua svelta e sapiente regia e il ruolo di spalla di una coppia comica, per lui appropriatissimo, restituiscono nel racconto l'Andrea Camilleri "proto-pirsonaggio", elementare maschera del suo tiatro stabile, nella sua autenticità costantemente paradossale.
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