Ha un merito la zuffa volgare e riprovevole che, a cospetto del mondo intero, ma soprattutto in Italia, si è prodotta qualche settimana fa sul tema della relazione tra nobile arte e gentil sesso, per dirla come usava un dì il velo di due trasparenti eufemismi. Un'eco della rissa è giunta anche nella silenziosa Citera di Apollonio.
Lo schiamazzo ha però messo in chiaro, ancora una volta, che, per gli esseri umani, non c'è dato naturale che non passi attraverso il filtro di complessi sistemi culturali. L'ha messo in chiaro, naturalmente, per chi è capace di vedere e, per questo solo fatto, in un mondo in cui tale capacità latita, si inscrive in una minuscola minoranza.
Come unico strumento di quieta sopravvivenza, a tale minoranza s'addice il silenzio, rotto eventualmente da complici e sommessi mormorii (questo frustolo è tale, ci si intenda): Mutu cu sapi u iocu, si dice opportunamente in Sicilia.
Del resto, anche altre distinzioni fondamentali, persino più fondamentali, come quella tra vita e morte, stanno nel novero di quelle determinate per via palesemente culturale e mutano di conseguenza.
Da tempo, si tengono in effetti per morte persone le cui parti sono vive abbastanza da contribuire, una volta trasferite, a migliorare la vita di periclitanti viventi: in esseri umani visti come macchine, pezzi da prelevare, pezzi da inserire.
Lo si fa senza implicazioni etiche di sorta né qui si intende sollevarne: solo ricordarne il processo. Si è infatti investita un'autorità superiore (cioè un istituto culturale per eccellenza) del compito di dire quando un essere umano è vivo o morto. Quando vale ancora la pena o quando non vale più la pena di considerarlo "tra noi"...
Come nel caso della boxeuse (meno cruciale, si ammetterà, anche se tanto rumoroso) in cui da ogni parte si invoca infatti in irrefragabile sostegno la Scienza. Singolare e con maiuscola, aruspice somma e veridica della Natura, singolare e con maiuscola. Per questo capace di dirimere il dilemma: boxeuse o boxeur? Vivo o morto?
Si sorvola sul fatto che non c'è sapere umano che non sia un costrutto culturale. In Natura non si dà né Scienza, singolare e con maiuscola, né scienze, plurale e con minuscola.
In effetti, le scienze, tutte minuscole, interagiscono ovviamente con i loro differenti oggetti, qualificandoli e qualificandosene, ma, a prescindere dalle diversità correlate con tale interazione, sono tutte modi con cui una cultura, anch'essa minuscola (visto che ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno tante), dice a chi vi si trova inscritto o inscritta cosa è pertinente. Pertinente, per esempio, per dire se si è vivi o si è morti, se, quando la morfologia non basta e interviene la sintassi, l'articolo da associare a pugile sia il o la.
Una scienza procura in tal modo idee e immagini, peraltro sempre provvisorie, mai definitive, di ciò che cade eventualmente sotto l'osservazione (potrebbe infatti non farlo: l'osservazione umana non è mai esauriente, perché il tutto è semplicemente irraggiungibile).
Nel caso di oggetti naturali, le relative scienze non sono altro che i sistemi di idee che di essi si è fatta una cultura, con la decisiva guida di un metodo. "Grazie al Cielo" è il pensiero che consola Apollonio, che ha l'impressione che qui stia forse il loro unico valore; che nella consapevole costrizione al metodo stia, per dire così, il disperante e paradossale vantaggio dell'amatissima cultura in cui, per accidente, nuota dalla nascita. La necessità di un metodo dice infatti che di vie ce ne sono sempre tante, diverse, concorrenti. Di tale cultura tuttavia non riesce a nascondersi i devastanti e mortiferi difetti: il principale consiste (e sta qui la lacerante contraddizione) nella sua sostanziale intolleranza all'esistenza di altro da sé.
Quanto alle scienze, ci si intenda, Apollonio ne fa sempre gran conto. Può trattarsi in effetti di buone idee, anche di ottime idee, che possono avere riscontri pratici e applicazioni di piccola, grande, gigantesca efficacia (che, si badi bene, non sono mai naturali e sono invece prodotti di un ingegno avventuriero, come è appunto l'umano).
Se sono tali, le scienze non sono, non saranno mai però ciò che crede chi, chierico o profano, le vede come le chiese in cui si officiano i riti di certezza di un numero comparabile di inconcusse fedi. Sono invece, perlomeno idealmente, i rings in cui si confrontano (o dovrebbero confrontarsi) scetticismi inesausti, sempre consapevoli e pronti, di conseguenza, a prenderle e a darle...
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