Come, un dì, per i frutti della terra. Da qualche anno, c'è la stagione in cui maturano e, nel mercato dell'informazione, si vendono bene le classifiche nazionali delle università. Classifiche tirate su un po' alla buona. Viene poi la stagione delle classifiche internazionali prodotte in Cina, da qualche anno reputatissime. Segue quella delle classifiche americane: neanche a dirlo, istituzionali.
Son sempre classifiche ma, dal punto di vista dell'informazione, vanno cucinate in modo diverso. Per coerenza con la stagione di maturazione, le italiane, per esempio, vengono bene, sul declinare dell'estate, come aperitivo ansiogeno da servire a neo-maturati/e e loro angustiati genitori, nella prospettiva di cruciali scelte.
Sollecitato in proposito da una provocatoria domanda giornalistica, non molti anni fa, pare sia stato un ministro francese (ad Apollonio la storiella è giunta per tradizione orale ma non saprebbe nemmeno precisare da chi: se l'è inventata lui, in sogno?) a rispondere che il difetto delle classifiche di università e istituti di formazione superiore è, semplicemente, che esse esistono.
In faccia a chi, per scopi suoi, le cavalca e ci marcia ma anche in barba a chi pensa che, beh sì, è materia delicata ma, alla fine, di strumenti del genere oggi si ha bisogno e che si tratta solamente di migliorarli, l'esistenza medesima come essenziale difetto delle classifiche delle università è verità incontrovertibile anche se intempestivamente enunciata. Così capita sovente (o sempre?) alle verità.
La leggenda o il sogno narrano del resto che il suo proferimento costò molte critiche politiche e di stampa al ministro regolarmente grossolano di una nazione un tempo accidentalmente fine (o al ministro accidentalmente fine di una nazione oggi regolarmente grossolana).
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