Ripetersi. C'è segno più chiaro di decrepitezza? Tre anni fa, il vecchio Apollonio aveva colto sul suo sorgere (o quasi sul suo sorgere) l'uso malandrino, dal punto di vista comunicativo, di dare nome proprio (e nome proprio di figure mitologiche o assimilabili) a banali circostanze meteorologiche.
Ulisse, Drago africano e i mercati portava come titolo quel vecchio frustolo. Vi si mostrava come l'artificio retorico di personificare per via di denominazione cicloni e anticicloni trova un corrispettivo speculare nella depersonalizzazione o nella impersonalizzazione dei fatti economici, artificio retorico anch'esso della comunicazione contemporanea.
L'un fatto espressivo e l'altro, combinati come spie parlanti, danno così un'immagine d'un qualche interesse per cogliere l'ideologia e lo spirito di un tempo che tende verso il rimbambimento.
Un tempo in cui fatti umani orientati da interessi e da scelte circolano anonimi e paiono adespoti, "naturali" come il Moderno ha detto essere la natura, mentre afa o temporali hanno nomi reboanti e spaventevoli, "naturali" per prospettiva animistica di ritorno.
A tre anni di distanza, la novità comunicativa del nome proprio dell'anticiclone o del ciclone è svaporata, naturalmente. Ripetersi: segno appunto della decrepitezza di un tempo rimbambito.
Che il caldo di luglio o, in prospettiva, il freddo di gennaio non abbiano nome proprio è così considerato socialmente e comunicativamente inconcepibile. Dalle reti sociali alle televisioni, dagli ombrelloni agli autobus cittadini, per dire che si ha caldo, che fa caldo e così via, è tutto un proferire, in questi giorni, di nomi propri, con annessi anatemi e correlate suppliche.
Indizio di cervelli bolliti e bolliti non per via d'una banale afa di luglio.
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