Un'università, una scuola coerenti con la società che le esprime: è ovvio che così sia e sia sempre stato (il sempre relativo delle transeunti istituzioni umane). Da quando esistono, l'università e la scuola realizzano però tale coerenza stando di traverso rispetto all'andazzo della società che le esprime. Più che petizioni di principio ideologiche lo dimostrano aspetti che non si possono chiamare dettagli senza rischiare di far loro torto. Dettagli non sono infatti e sono al massimo tra i fatti imponenti sotto il cui cielo le società vivono senza nemmeno rendersene conto.
Gli storici delle istituzioni e della cultura preciseranno con dottrina le ragioni della bizzarria di un anno accademico, di un anno scolastico che stanno di traverso all'anno civile e ne cavalcano due: 2008-2009, 2009-2010.
Un tanto importante istituto di un'ormai quasi perenta civiltà ha così da sempre una scansione del proprio tempo pratico e ideale (e della formazione giovanile che ne consegue: o ne conseguiva?) che fa finire adesso il suo passo cominciato in un passato che aveva un altro nome e che farà finire in un futuro con un nome ancora diverso il passo che muoverà sotto il presente nome.
Sono infatti nomi propri i numeri coi quali l'Occidente decise un dì di scandire il suo tempo, illudendosi così di addomesticarlo e di familiarizzarselo, chiamandolo per nome. E i nomi propri del tempo accademico e scolastico stanno sempre tra il nome passato e il nome presente, tra il presente e il futuro: 2008-2009, 2009-2010.
Sono appunto simboli residui di uno stare di traverso dell'università e della scuola rispetto alla società, del loro valutare il proprio presente sempre un po' in funzione del passato e un po' in funzione del futuro. Sono emblemi di una doppiezza, di un'ambiguità del loro rapporto con la società che le esprime e che, oggi, quella società sembra non volere più tollerare: comprensibilmente ma non ragionevolmente per i suoi destini, accecata com'è da un presente in cui s'illude di vedere il modello eterno del proprio futuro.
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