Con la rara eccezione di qualche vena marginale o, forse meglio, di qualche figura solitaria, il ceto intellettuale italiano, pur diviso in fazioni, affonda comunemente le sue radici in un humus clericale. Né la qualificazione va qui intesa come se fosse espressa a suo disdoro.
Si tratta del resto di un dato di fatto tanto storicamente evidente e pregnante che è certo inutile prendersi la pena di affermarlo. Meglio, di ribadirlo: è stato infatti già molte volte osservato, da sguardi acuti e autorevoli.
Capita però che, come di altre ovvietà nazionali (fragilità del territorio, acuta predisposizione al familismo e così via), ci se ne scordi. E capita così che, di tanto in tanto, un campione di tale ceto lo scopra (o faccia sembiante di scoprirlo) a proposito delle conventicole altrui (difficilmente della propria, quasi mai di se medesimo) e ne affetti sorpresa o ne meni scandalo.
Se Apollonio affettasse sorpresa di tali (simulate) sorprese o menasse scandalo degli scandali connessi sarebbe ancora più sciocco di come egli è. C'è da meravigliarsi infatti dei temporali autunnali? E dare del bipede a un essere umano è oltraggiarlo?
A fare dei chierici italiani ciò che sono è stata una storia millenaria, peraltro piena di pagine culturalmente gloriosissime, oltre che, come tutte le storie, irrefutabile. Secondo regole, essa ha prodotto così i chierici regolari e, regolarmente, anche i chierici regolari che additano, con sorpresa, scandalo e riprovazione, il clericalismo degli appartenenti a un ordine diverso dal proprio.
Più ragionevolmente e con sorridente rassegnazione, bisogna invece prendere i chierici italiani per ciò che sono. Del resto, come quelli di altre nazioni e come tutti, non hanno solo difetti.
Tra le spie acutissime del persistente habitus moralmente clericale del ceto intellettuale italiano, c'è il suo impulso irrefrenabile alla canonizzazione dei suoi esponenti più eminenti e naturalmente, di preferenza, defunti.
Solo di preferenza, però, dal momento che non sono rare le canonizzazioni di viventi: l'allungamento medio della vita sta peraltro favorendo il fenomeno. E gli anziani santi in circolazione proliferano, a credere alle gazzette e a quei festival che, ormai capillarmente diffusi sul territorio nazionale, non si può dire non somiglino alle tradizionali e altrettanto diffuse feste paesane del santo patrono. E, dietro l'esempio dei più anziani, una canonizzazione auguralmente prossima prospettano a se medesimi i meno anziani, come obiettivo della loro militanza. L'esempio è del resto un grande motore per la pratica delle virtù eroiche che conducono alla santità.
Correlativamente, si fa intensa (restando tuttavia sempre economicamente modesta) l'attività di stampa e diffusione di immaginette sacre. Beghine e beghini di nuova fattura ma di vecchio conio le collezionano e le commentano con un fervore che la comunione morale e sentimentale così istituita fa crescere sovente a dismisura.
Se sono già santi parecchi vivi, ci si figuri quanto santi sono i suoi defunti, per il ceto intellettuale italiano. Il culto dei santi defunti vi attraversa periodicamente fasi parossistiche. Ne dànno occasione quelle commemorazioni anniversarie che moltiplicano i riti e le pubblicazioni di stile e d'intento agiografici.
Al pari di quanto accade con i santi della religione nazionale tradizionale, anche tra quelli del ceto intellettuale italiano, ci sono del resto i tipi, come specificazione della virtù condotta al suo estremo o della faccetta del passaggio per il mondo da considerare pertinente in funzione della canonizzazione. Non si sa se ci siano, è vero, i vergini ma certamente ci sono (e non si faccia caso al genere: è solo il non-marcato) i papi, i vescovi, gli abati, i dottori, i catechisti, gli eremiti, gli anacoreti, i pellegrini, i fondatori di ordini e altre categorie rilevanti.
Ci sono naturalmente anche i martiri. Lo ricordano ad Apollonio, proprio in questi giorni, le celebrazioni commemorative di un grande santo del ceto intellettuale italiano, nel cui nome Apollonio trovò, anni fa, un anagramma forse irriverente, ma (gli si creda) irriverente per via di un sorriso oltremodo rispettoso.
Di tale santo, è impossibile dire che, con acuta intelligenza, non avesse chiaro di qual genere fosse la stoffa morale della società intellettuale in cui ebbe a giocare un gran ruolo. Come è impossibile dire di lui che non fece di tutto per prendervi dimensioni e figura di santo, una volta fattosi perfettamente coerente con tale stoffa, per chiare doti naturali, nella sua regolarissima irregolarità.
In questi giorni circolano appunto tante reliquie di san Pier Paolo. E circolano, per profluvio, le sue immaginette sacre. Difficile trattenersi dal dire che Pasolini ha oggi proprio ciò che allora acutamente immaginò e volle fortemente che il futuro gli riservasse: la fama e il destino di un martire santo.
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