"Funghi in città": l'esordio di Marcovaldo, or sono più di sessanta anni. Nei suoi primi tre capoversi (perché i primi tre son rilevanti, Apollonio lo dirà un'altra volta; chi, curiosa o curioso, ha fretta di saperlo cerchi in proposito un vecchio scritto del suo alter ego), nei suoi primi tre capoversi, si diceva, solo cinque nomi, tra i tanti, cominciano per effe, equilibratamente distribuiti: fieno e fiori, nel primo; funghi, nel secondo, foglia e fico, nel terzo. Hanno qualcosa in comune i cinque nomi, al di là di questo carattere formale, che può parere peraltro puramente esteriore? Sì: designano tutti elementi della flora.
Flora? Fieno, fiori, funghi, foglia, fico. Significante e significato in corto circuito. Effetto ricercato? C'è la ragionevole certezza che non lo si saprà mai. Ma cosa importa? Le cose, nel testo, stanno così. E l'espressione umana - la si chiama lingua, facendone poi bizzarra astrazione - è per intero retta, cioè fatta, da relazioni e da differenze. L'effe, sì. E sonora? La vu: Il vento venendo... Ma guarda: en ed en-en, in rapporto di sequenza. E una nuova differenza, ent ed end: sorda e sonora... Ancora una differenza, da lontano, nella relazione: ent/end e ont...Inutile insistere: curiosi e curiose - si trattasse di raffreddati (o raffreddate) che, sensibili, s'accorgono del fieno - hanno già ricevuto un indirizzo e il fuoco del frustolo non è del resto la caccia a ciò che rende mirabilmente armonico quell'incipit. Alludervi brevemente ne è solo il pretesto.
Il pretesto per ricordare che chi è immerso nei flussi di tali relazioni e di tali differenze ne ha certo padronanza. Ciò gli consente di nuotarvi, dandosi il caso, appunto, egregiamente. Ma anche se si tratta di un "locuteur" eccezionale, come fu, per paradosso, il silenziosissimo Italo Calvino o, meglio, come fu ed è ancora oggi la tradizione espressiva che circola sotto tale comoda (o imbarazzante?) etichetta, anche quando si tratta di un "écrivain" e non di un "écrivant", tale padronanza è per principio intuitiva e, anche nei casi migliori, anche negli ottimi, corredata solo sporadicamente da una consapevolezza che, ben che vada, interviene come senno di poi. Quello di cui sono piene le fosse, ma, se ne può stare certi, anche e fortunatamente le biblioteche.
[Nella lettura dei tre capoversi qui in questione, Marco Paolini si allontana più volte dal testo e non si può dire lo migliori. Trascurando i casi minori, nel primo capoverso, inverte l'ordine di "in città" e "da lontano": la cadenza ne scapita; sostituisce "anime" col più banale "persone"; forse sempre per vezzo di colloquialità, trasforma, nel terzo capoverso, "che pareva scorrere sulle sabbie del deserto" in un sintatticamente implausibile e semanticamente aberrante "pareva scorrerci sopra come sabbie del deserto". Ecco anche illustrata, in corpore vili, l'ordinaria necessità della filologia.]
Flora? Fieno, fiori, funghi, foglia, fico. Significante e significato in corto circuito. Effetto ricercato? C'è la ragionevole certezza che non lo si saprà mai. Ma cosa importa? Le cose, nel testo, stanno così. E l'espressione umana - la si chiama lingua, facendone poi bizzarra astrazione - è per intero retta, cioè fatta, da relazioni e da differenze. L'effe, sì. E sonora? La vu: Il vento venendo... Ma guarda: en ed en-en, in rapporto di sequenza. E una nuova differenza, ent ed end: sorda e sonora... Ancora una differenza, da lontano, nella relazione: ent/end e ont...Inutile insistere: curiosi e curiose - si trattasse di raffreddati (o raffreddate) che, sensibili, s'accorgono del fieno - hanno già ricevuto un indirizzo e il fuoco del frustolo non è del resto la caccia a ciò che rende mirabilmente armonico quell'incipit. Alludervi brevemente ne è solo il pretesto.
Il pretesto per ricordare che chi è immerso nei flussi di tali relazioni e di tali differenze ne ha certo padronanza. Ciò gli consente di nuotarvi, dandosi il caso, appunto, egregiamente. Ma anche se si tratta di un "locuteur" eccezionale, come fu, per paradosso, il silenziosissimo Italo Calvino o, meglio, come fu ed è ancora oggi la tradizione espressiva che circola sotto tale comoda (o imbarazzante?) etichetta, anche quando si tratta di un "écrivain" e non di un "écrivant", tale padronanza è per principio intuitiva e, anche nei casi migliori, anche negli ottimi, corredata solo sporadicamente da una consapevolezza che, ben che vada, interviene come senno di poi. Quello di cui sono piene le fosse, ma, se ne può stare certi, anche e fortunatamente le biblioteche.
[Nella lettura dei tre capoversi qui in questione, Marco Paolini si allontana più volte dal testo e non si può dire lo migliori. Trascurando i casi minori, nel primo capoverso, inverte l'ordine di "in città" e "da lontano": la cadenza ne scapita; sostituisce "anime" col più banale "persone"; forse sempre per vezzo di colloquialità, trasforma, nel terzo capoverso, "che pareva scorrere sulle sabbie del deserto" in un sintatticamente implausibile e semanticamente aberrante "pareva scorrerci sopra come sabbie del deserto". Ecco anche illustrata, in corpore vili, l'ordinaria necessità della filologia.]
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