Esprimersi è produrre metafore, nascenti o ormai nate, vive o non più vive e quindi spente. L'hanno osservato molti saggi e da gran tempo. Quintiliano, per esempio, sulla cui opinione in proposito un carissimo e mai dimenticato amico chiamò molti anni fa l'attenzione di Apollonio. E Giacomo Leopardi, sulla cui idea di metafora proprio di recente gli è invece a sua volta capitato di riflettere in compagnia di giovani sodali.
Esprimersi e sperare (o temere) che la propria espressione si sedimenti anche solo il tempo bastevole a renderla menzionabile da qualcuno nel discorso o in modo meno effimero - nel caso dei più cari alla fortuna e per via di supporti strumentali come la scrittura - è però incorrere senza scampo in una metonimia.
Solo in virtù di tale contiguità concettuale tra espressione ed esprimente s'è del resto potuto qui sopra nominare Quintiliano, Leopardi e, adesso, il medesimo Roman Jakobson che rappresentò metaforicamente in tali termini la figura del discorso.
In questione, naturalmente, non sono loro ma le loro metaforiche parole. Del resto, si è certi che, fuori di tali espressioni, di tutti costoro ci sia qualcosa da dire?
E come si potrebbe del resto parlare o scrivere dell'espressione, si ponga, di un Ludovico Ariosto o di un Primo Levi senza adoperare, nel discorso, l'ineluttabile figura? E i due menzionati (non a caso menzionati) non erano tra i pienamente consapevoli, esprimendosi, di condannarsi a farsi metonimie? Sì, perché ci furono, ci sono, sempre ci saranno anche gli inconsapevoli. Gli ignari, esprimendosi e sovente a sproposito, di andare incontro al destino di figura. E che figura!
Comica condizione dell'espressione umana (naturalmente, non soltanto della strettamente linguistica), unico labile indizio, del resto, dell'esistenza umana: metafora destinata a diventare metonimia.
Di quel comico, questa condizione dell'espressione e dell'esistenza umana del resto ineludibile, che non risparmia vertigini di varia natura.
RispondiEliminaGrazie al Cielo, in formato permanente, riservate ai pochi, fedele Lettore, di cui si può appunto sentir dire, per esempio, che "Ariosto sta sul terzo scaffale a destra, Leopardi invece sul settimo a sinistra".
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