"Dei 38 mila insegnanti assunti finora - sottolinea il ministro - uno su due ha meno di quaranta anni e l'87,3% è donna": questa dichiarazione - che è di Stefania Giannini, quindi in realtà di una ministra - ha circolato largamente in rete, ieri.
Qui la si cita esattamente come la riferisce un articolo on-line di un importante quotidiano, dicendo della conferenza-stampa in cui è stata proferita. Per la parte rilevante, la dichiarazione si trova identica anche nel testo che accompagna una breve registrazione videomagnetica diffusa in rete dalla Rai.
Essa non compare in questo diario per via del merito né del metodo. Di ambedue le faccette della faccenda si è fatto e si fa un gran parlare. Niente avrebbe da aggiungere Apollonio, che a suo proposito si consente invece solo un paio di riflessioni nello spirito d'una modesta linguistica da strapazzo.
La parola donna ricorre infatti nella dichiarazione in modo che è pacifico nella comunicazione odierna. Può tuttavia attirare l'attenzione di perdigiorno curiosi del funzionamento della lingua.
Donna non ha qui il valore di "nella specie umana, individuo di sesso femminile". Considerando la cosa sotto tale prospettiva, dalla dichiarazione della ministra, si evince che gli individui in questione sono infatti circa trentatremila. Decisamente troppi per quel donna al singolare, quando, di individui, ne bastano appena due per avere un opportuno plurale.
Donna non ha tuttavia nemmeno il valore, definito dai lessici collettivo (con quanta ragione, qui non si discute), di espressioni come la liberazione della donna. In casi del genere, infatti, lo snodo decisivo sta nell'articolo determinativo: ...della donna, appunto. Senza articolo, impensabile. E in "...è donna" di articolo non c'è l'ombra. Anzi, se si prova a mettercelo, l'esito è improponibile.
Con funzione di predicato nominale, nelle parole di Giannini, donna ha in realtà l'aria del nome di massa. Suona come suonerebbe latte, olio d'oliva, zucchero e simili. Per quanto Apollonio ne sappia e malgrado ricorrenze che si possono considerare a questo punto comuni, né lessici né grammatiche si sono fin qui curati di registrare un valore del genere, in riferimento a donna.
Peraltro, a volere ancora pedanteggiare (il che, magari, non guasta, se tra i due lettori di Apollonio almeno il 50%, donna o uomo non importa, è pedante), la questione incrocia in modo rilevante il problema relazionale dell'accordo.
Non ci son dubbi sul fatto che l'espressione 87,3% sia singolare, quanto a categoria grammaticale del numero: un articolo maschile singolare appunto l'accompagna e diversamente non si potrebbe. Ce ne sono ancora meno che, calcolata tale percentuale in funzione delle trentottomila unità di cui è questione, l'espressione singolare l'87,3% designi, come si diceva, una pluralità. A ben vedere, anche se grammatiche e lessici non citano mai casi del genere, è in realtà l'87,3% a essere una sorta di nome collettivo, come folla, gregge, mandria, stormo. Quel tipo di nome, formalmente singolare, semanticamente plurale, si dice, per il quale la norma raccomanda un accordo verbale al singolare: è, appunto. A catena, ne sortisce un singolare, donna, anche nel predicato nominale.
La norma è tuttavia in proposito tollerante (difficile non esserlo, visto il comportamento, da sempre, dei parlanti). La ministra avesse detto L'87,3% sono donne, nessuno si sarebbe accorto del mancato accordo (o dell'accordo diversamente orientato: ma con ciò si rischia d'entrare veramente nel complesso). E il commento di Apollonio, col plurale, avrebbe avuto più debole pretesto per osservare che, in fin dei conti e volendo per un momento abbandonare la prospettiva semantico-lessicale, abbracciandone una funzionale, l'espressione "L'87,3% è donna" risulta linguisticamente meglio descritta dicendo che donna assolve alla sua funzione sintattica esattamente come farebbe un aggettivo, eventualmente composto. L'87,3% è di sesso femminile illustra in proposito il caso d'una perfetta commutabilità funzionale: senza articolo che lo qualifichi come nome, donna vale quindi esattamente ciò che qui vale di sesso femminile, che, a volerlo appunto categorizzare, è un aggettivo composto. "L'87,3% è donna" suona tuttavia contestualmente più felice, di questi tempi, di un burocratico e antiquato L'87,3% è di sesso femminile. Tra le due espressioni, nel discorso politico, non c'è partita.
Del resto, se a qualcuno pare strana l'idea che la parola donna, in certe composizioni, valga come nome di massa o, meglio, come aggettivo, pensi che in fondo si tratta non di esseri umani ma di percentuale.
L'espressione "l'87,3% è donna" è così testualmente comparabile con le indicazioni che compaiono, oggi obbligatorie, sulle confezioni degli alimenti. Tra le righe, lo si è già anticipato. "L'87,3% è donna" e "il 12% è succo d'arancia" (appunto, in ambedue i casi, con predicato nominale senza articolo) stanno nella stessa classe di costrutti.
"L'87,3% è donna": il fatto che la ministra abbia fatto menzione di questo dato dice che si sta parlando della parte comunicativamente pregevole del composto. Correlativamente, c'è da ritenere che ne sia uomo solo il 12,7%. E, rendendolo infine esplicito, si resta qui intenzionalmente ancorati alle semplici specificazioni anagrafiche. Fare diversamente, di questi tempi, rischia di suscitare un vespaio.
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